Doveva rappresentare, almeno secondo le stime del Governo, una leva per aumentare da subito l’occupazione e per mantenerla stabile. Invece, nella relazione tecnica, tutte le buone tesi che hanno accompagnato il decreto dignità sono andate a farsi benedire. L’effetto indicato sarà infatti l’opposto.
Il decreto dignità, almeno secondo il MEF, porterà ad una diminuzione dell’occupazione di 8mila unità l’anno fino al 2028, vale a dire nei prossimi 10 anni. Il punto è che il giro di vite, in arrivo sui contratti a termine, è molto forte. Tornano, infatti, le causali dopo i primi 12 mesi di contratto. Inoltre, è previsto un contributo dello 0,5% su ciascun rinnovo, e la durata scende così da 36 a 24 mesi.
A conti fatti, dunque, il decreto dignità porterà ad un 10% di posti di lavoro persi ogni anno. Tradotto in cifre, siamo sugli 8.000 dipendenti senza lavoro ogni anno. I dati, dunque, stridono fortemente con gli annunci dell’esecutivo. Di Maio, infatti, si aspetta una corsa alla stabilizzazione.
Il problema, più che altro, è però l’intervento sugli strumenti sbagliati. Dunque, da decreto dignità si potrebbe facilmente passare ad un decreto “indegnità”. Il Movimento 5 Stelle deve correre ai ripari.
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