2 Settembre 2016 - 09:30

Donne e Costituzione, come (e se) lo Stato le tutela

donne

Il principale documento legislativo della Repubblica Italiana come si pone nei confronti delle donne? Esiste davvero la parità di genere?

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1948: nasce la Costituzione Italiana. Elenco di leggi e diritti del popolo italiano, uomini e donne appena usciti dalla sanguinosa Seconda Guerra Mondiale ed ancora incerti sul proprio futuro.

La nostra Costituzione si presenta con ben 139 articoli, suddivisi in titoli e comma (poi, quanto più la macchina burocratica possa aggiungere è sempre ben accetto) ma i principi base furono chiari e semplici, l’ABC di ogni Stato democratico che si rispetti: libertà e uguaglianza.

A tal proposito, di fondamentale importanza furono, e lo sono tuttora, gli Art. 2 e 3.

ART. 2: “La Repubblica garantisce e riconosce i diritti inviolabili dell’uomo come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.

Con tale Articolo si riconobbero a tutti gli esseri umani, senza nessun tipo di distinzione, una serie di diritti inviolabili e infatti questo Articolo viene tuttora definito anche principio personalistico.

ART. 3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

L’Art. 3 proclamò l’uguaglianza di tutti i cittadini “davanti alla legge, senza distinzione di sesso, razza, lingua e religione” e si presenta suddiviso in 2 comma: il primo parla di eguaglianza formale e il secondo di eguaglianza sostanziale. Il principio di eguaglianza sancito dall’ Art. 3 della nostra Carta Costituzionale, quale fondamento ultimo della legislazione volta a proteggere i lavoratori dalle disparità di trattamento ingiustificate e a promuovere le condizioni necessarie al superamento degli ostacoli che si frappongono alla loro piena realizzazione, ha giocato nello sviluppo del diritto del lavoro un ruolo ampio e pervasivo, certo non comprimibile entro i confini ove si collocano divieti di discriminazione e azioni positive.

Quando si parla di lavoro però, la situazione si complica. Nella nostra Costituzione troviamo infatti un titolo apposito dedicato ai “rapporti economici” e tra essi ne spicca uno in particolare.

ART. 37: “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione. La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato. La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione”.

Perché se già negli Art. 2 e 3 si garantivano una serie di diritti inviolabili e si parlava di uguaglianza fra tutti i cittadini, senza alcun tipo di distinzione, fu stilato un apposito Articolo dedicato alla figura della donna lavoratrice? Perché contrassegnare il genere femminile come un qualcosa da estrapolare dalla normale visione del mondo del lavoro?

La risposta è semplice: il mondo non era ancora a misura di donna. (E per certi versi non lo è ancora)

Sorge quindi spontaneo chiedersi se la Costituzione, la magna carta del nostro Stato, tuteli davvero le donne. Il gender gap in alcuni settori è inarrestabile, i soffitti di vetro invalicabili e nonostante gli evidenti progressi della società negli ultimi anni, centinaia di donne continuano a ricevere una retribuzione inferiore rispetto ai propri colleghi uomini, a parità di merito.

E allora “la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore” che fine ha fatto? La Costituzione dov’è quando durante i colloqui di lavoro le donne vengono escluse solo perché hanno figli o, nel peggiore dei casi, un giorno avranno dei figli?

In un mondo dove donne come Angela Merkel e Hilary Clinton potrebbero decretare le sorti future dell’intero pianeta, l’Italia si presenta ancora impreparata.

Ovviamente i progressi ci sono stati anche qui, nel lontano ’46 le donne poterono votare per la prima volta ed oggi invece molte ricoprono cariche pubbliche ed istituzionali di grande importanza. Ma non basta.

Attacchi di carattere sessista e altri tipi di discriminazioni dovrebbero cessare all’ istante poiché le donne rappresentano, oggi come non mai, una forza lavoro basilare per la nostra economia, ma ancor di più una forza per la nostra società. La Costituzione dovrebbe quindi riconoscere ciò ed adeguarsi all’ avvento del genere femminile.

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