10 Gennaio 2020 - 09:00

Dracula: la coppia Gatiss-Moffat e le reinterpretazioni letterarie

Dracula: Netflix

Dopo aver già deliziato il pubblico con Sherlock, i due sceneggiatori ci riprovano con Dracula. E lo fanno ripercorrendo il mito nel tempo

Nessuno, ormai, è più all’oscuro delle loro doti. Naturalmente, si può tranquillamente affermare di avere a che fare con due personalità spiccate, capaci di immergersi in opere classiche, rinnovarle e tirarne fuori un qualcosa di nuovo, fresco e genuino. Mark Gatiss e Steven Moffat sono ormai entrati nell’immaginario di tutti gli spettatori delle serie TV per il loro adattamento Sherlock, ispirato alle vicende del famoso investigatore privato di Arthur Conan Doyle. Ebbene, ora ci riprovano sfruttando un altro mito letterario: Dracula.

L’esperimento è sicuramente ambizioso, fin dalla sua nascita. Dracula, infatti, come del resto era anche Sherlock, è una figura ormai fissata nell’immaginario comune, difficile da modificare o da scollare. Il vampiro più famoso della letteratura di tutti i tempi è stato portato al cinema (e anche in televisione) diverse volte da fior fior di autori. Vlad III, principe di Valacchia, è stato al centro di numerose re-interpretazioni cinematografiche e seriali. Tra gli adattatori si possono annoverare mestieranti del calibro di Fisher, Coppola, Franco, Siodmak, Brooks, Argento e chi più ne ha, più ne metta. Ma non solo.

L’obiettivo che Gatiss e Moffat si danno con questa nuova miniserie composta da 3 episodi è davvero di quelli ostici da affrontare. Infatti, i due autori hanno voluto realizzare una vera e propria ripassata del mito collocandolo in vari tempi. Quasi ad avallare la tesi di come, in realtà, il vampiro più famoso del mondo sia immortale e onnipresente anche all’interno dello stesso testo filmico.

Ci saranno riusciti? Andiamo a scoprire insieme i segreti di questa nuova serie TV targata Netflix.

Il vampiro nel tempo

Innanzitutto, vi è da fare un assunto. L’esperimento di Gatiss e Moffat sta tutto nel personaggio principale, che loro hanno deciso di rendere il vero protagonista del progetto. Questo comporta un approccio che rispetta la struttura del libro, ma non la lettera, con una formula letteralmente tripartita, quasi antologica.

Infatti, scopriamo che il primo episodio di Dracula è incentrato sull’incontro fra il Conte e Jonathan Harker in Ungheria (nel 1897, anno in cui fu dato alle stampe il romanzo). Nel secondo episodio, invece, siamo alle prese con il mito collocato nel viaggio della nave russa Demeter (passaggio che molte trasposizioni tendono a omettere per questioni di ritmo). Nel terzo, con una progressiva accelerazione di tempi, la storia viene portata al presente. L’episodio, infatti, è interamente dedicato alla permanenza londinese del carismatico e inquietante non-morto.

Un approccio molto particolare, che non manca di sorprendere gli spettatori e di garantirgli 4 ore e mezza di ottimo divertimento.

Il “refresh” di Dracula e l’umorismo di Gatiss e Moffat

Il restyling che Gatiss e Moffat non si limita solamente ai periodi in cui è narrata la vicenda. Assistiamo, infatti, ad un vero e proprio rinnovamento della figura di Dracula (interpretato alla stragrande da un Claes Bang imponente). Quest’ultimo è un ibrido: da un lato si affaccia al look classico di Bela Lugosi, dall’altro si rinnova in una versione quasi ironica e post-moderna.

Ed è proprio quest’ultimo elemento che convince di più. La scrittura dei due autori inglesi, seppur con dei difetti che elencheremo dopo, garantisce freschezza alla narrazione e la rende molto leggera, pur non tralasciando il gusto puramente gotico del racconto originale. Vi è anche una certa componente erotica che è sempre mancata in qualsiasi altra re-interpretazione, e che sappiamo essere peculiarità dei due autori. Già in Sherlock, infatti, avevamo assistito ad una relazione quasi “coniugale” tra il detective e l’assistente Watson.

Qui in Dracula il “giochino” si ripropone tra il vampiro, Jonathan Harker (John Heffernan) e tra suor Agata Van Helsing (una camaleontica Dolly Wells). Ad avallare la visione vi è anche una discreta regia “al servizio degli attori” (della fisicità imponente di Bang, soprattutto) e una fotografia che sa perfettamente adattarsi al contesto della narrazione, passando dal gotico al caleidoscopico a seconda del tempo raccontato.

L’esigenza della brevità

Come molto spesso ormai capita, però, avendo pochi episodi a disposizione la miccia si fa corta e il tutto diventa confusionario e caotico. Moffat e Gatiss ricadono, infatti, negli stessi errori già compiuti con Sherlock. Più la serie prende piede, infatti, più si avverte un senso di “stagnazione” nella narrazione. La sceneggiatura arranca, e la svolta conclusiva (che non spoileriamo) lascia l’amaro in bocca.

L’adattamento di Dracula al presente, infatti, riesce peggio del previsto, regalandoci una scrittura che palesa tutti i suoi difetti nel portare un personaggio anacronistico all’epoca odierna. Proprio l’ultimo episodio non riesce a convincere, non tanto per l’idea alla base, quanto per il cambio dei personaggi effettuato. L’assenza di Jonathan Harker (un buon John Heffernan) e Mina (Morfydd Clayd) si fa sentire eccome, e la pallida fotocopia della Lucy Westenra di Stoker (interpretata da Lydia West) non riesce a sopperire la mancanza.

Un esperimento interessante, che però manca di sostanza proprio nella sua parte conclusiva.