Effetto Parasite: ecco 10 (+1) film asiatici da recuperare subito!
Con la vittoria dell’Oscar, Parasite ha spostato le attenzioni in Oriente. ZON.it seleziona per voi 10 (+1) film da vedere se tentate la carta asiatica
Un fenomeno incredibile. Probabilmente nemmeno le menti più geniali di questo pianeta avrebbero pronosticato un successo simile. Eppure, Parasite ha sbancato. Non solo ai botteghini, dove comunque è tornato al secondo posto ai box-office, ma anche nella manifestazione cinematografica più importante dell’anno: gli Oscar. Il film targato Bong Joon-ho (che si è anche forgiato di una prestigiosissima vittoria come miglior regista battendo Scorsese, Tarantino e Mendes) è ormai diventato un fenomeno mondiale. Il cinema asiatico ha ormai sfondato.
ZON.it non si lascia scappare quest’opportunità. Infatti, il sito ha selezionato per voi 10 film per cominciare ad approcciare al cinema asiatico, magari partendo proprio da quello che è il regista di Parasite, ovvero Bong Joon-ho. Pronti per un viaggio in Giappone e nei Paesi limitrofi?
Memories Of Murder – Bong Joon-ho
Partiamo subito dall’uomo del momento: Bong Joon-ho. Ben prima di Parasite (quasi 20 anni) il premio Oscar aveva girato un film meraviglioso come Memories Of Murder, che a breve uscirà anche nelle sale italiane. Parliamo di una delle pietre miliari del cinema asiatico e coreano.
La storia prende piede in un piccolo villaggio, nel 1986. Qui viene trovata una giovane donna brutalmente assassinata. Lo spettro di un assassino seriale fa sprofondare l’intera regione nel terrore. L’inadeguata polizia locale si affida a Park Du-man, agente del posto abituato a lavorare con quello di cui può disporre, e Seo Tae-yun, detective di Seoul scheggia impazzita, per fermare questo killer.
Memories Of Murder è un film crudo e profondo, ma raffinato allo stesso tempo e soprattutto incredibilmente politico. Joon-ho mostra a tutti il quadro disagiato della Corea del Sud, fornendo una realtà agghiacciante e le contraddizioni di una prassi investigativa che, esattamente come il potere costituito, molto spesso non rispetta l’autenticità dell’individuo. In più, si permette un finale tra i più belli e potenti di tutti i tempi. Da recuperare.
Anatomia Di Un Rapimento – Akira Kurosawa
E qui ci soffermiamo su uno dei grandi maestri asiatici. Akira Kurosawa è sicuramente il più grande regista asiatico di tutti i tempi, fonte d’ispirazione per i maestri presenti. Ed è d’obbligo recuperare uno dei suoi più grandi capolavori, Anatomia Di Un Rapimento, gran bel noir d’altri tempi.
Ansioso di concludere un affare per assicurarsi il controllo di un’azienda di calzature, l’industriale Gondo (il mitico Toshirō Mifune) viene contattato da uno sconosciuto (Tsutomu Yamazaki) che, credendo di rapire suo figlio, ha in realtà sequestrato quello dell’autista. La cifra richiesta è astronomica: Gondo decide di pagare e affrontare quello che si rivelerà un incubo a occhi aperti.
Ci troviamo, come in Parasite, di nuovo davanti ad un racconto anti-classista. Kurosawa regala un film incisivo e disturbante, realizzato per riflettere sulla permeabilità del Male connaturato alla natura stessa dell’essere umano. Profondamente importante per tutto il cinema orientale che verrà. Era il 1963.
In The Mood For Love – Wong Kar-Wai
In Oriente, sanno anche costruire dei film romantici meravigliosi, capolavori di prim’ordine. Tra questi, vi entra di diritto anche In The Mood For Love, del 2000, girato da Wong Kar-Wai. Un film che c’entra poco o nulla con Parasite, ma che è fondamentale per la cinematografia asiatica.
Il film si basa su una semplice/complicata storia d’amore tra Chow (Tony Leung) e Li-Zhen (la leggiadra Maggie Cheung). Questi ultimi vivono in appartamenti contigui, ciascuno con la propria famiglia. Nel giro di breve tempo, scoprono che i loro rispettivi consorti sono amanti. La volontà di comprendere le ragioni del tradimento subito li porterà a frequentarsi sempre più spesso e a condividere le sensazioni provate.
Kar-Wai rinchiude lo spettatore in una prigione. Un’elegante, romantica, sensuale, impalpabile e atemporale prigione. Il regista ci racconta di un amore inespresso, messo in cattività dalle barriere delle convenzioni sociali. Sensualità e castità nella stessa pellicola. Uno stato d’animo totale e collettivo. Clamoroso.
Infernal Affairs – Andrew Lau/Alan Mak
Qui parliamo di uno dei gangster movie più belli di sempre. Solo in questo modo si può etichettare Infernal Affairs, gioiello di Hong Kong girato dal duo (allora semi-sconosciuto) Andrew Lau e Alan Mak. Lo yin e lo yang descrivono alla perfezione questo gran film, dal punto di vista filosofico.
La trama è semplice. Un poliziotto infiltrato nel giro d’affari di una Triade scopre che il boss ha inviato una talpa nel corpo di polizia. L’infiltrato e la talpa condividono un obiettivo: scoprire chi sia l’altro.
Funziona, perché i due protagonisti non devono rincorrere solo loro stessi, ma una facciata, una costruzione della propria identità ormai indefinita dopo anni di bugie.
Notate niente di strano? Già. Il film è stato d’ispirazione addirittura per un maestro come Martin Scorsese, il quale, nel 2006, ne ha girato un remake (The Departed) con DiCaprio e Matt Damon. Può bastare per convincervi a recuperarlo?
A Taxi Driver – Jang Hoon
Questa volta, vi assicuriamo, Scorsese non c’entra nulla. Sfruttando l’onda di successo di Parasite, potreste però recuperare questo gioiellino uscito tre anni fa in Corea, ma da poco in Italia. A Taxi Driver ha ricevuto il favore sia della critica che quello degli spettatori. Già questo lo rende da recuperare, anche perché tratto da una storia vera.
Ci troviamo a Seoul, nel 1980. Kim (sempre il mitico Song Kang-ho, star di Parasite), tassista vedovo e indebitato, si appropria di un cliente destinato a un altro autista. Si tratta di un fotoreporter tedesco, Jurgen Hinzpeter (Thomas Kretshmann). Quest’ultimo deve arrivare a Gwangju per una cifra ragguardevole e assolutamente spropositata visto il tragitto, per filmare la rivolta in atto nel paese. Ma il viaggio sarà pieno d’insidie.
Il film mescola la spensieratezza e le gag di una commedia road movie con il dramma sociale delle rivolte coreane. In qualche modo, A Taxi Driver ci riporta a scenari molto vicini alle nostre commedie anni ’50/’60, atte a denunciare un Paese ancora lontano da una totale pacificazione. Insomma, si ride e ci si diverte, ma si riflette davvero molto sugli aspetti del Paese coreano.
The Killer – John Woo
E ora passiamo ad uno dei registi d’azione più grandi di sempre. Nelle mani del mitico John Woo, Hong Kong ha vissuto i suoi anni migliori per quel che riguarda il cinema di genere. Lui è stato un vero e proprio “guru”, ispirazione primaria per Quentin Tarantino, autore di veri e propri must come il mitico The Killer, antesignano (nello splatter) anche di Parasite.
Nomen omen. La vicenda narra di un killer (Chow Yun-Fat) che, dopo un terribile scontro a fuoco, sfigura per sbaglio una giovane ragazza, rendendola parzialmente cieca. Da qui in poi partirà la sua angoscia esistenziale, attraverso la quale metterà in discussione sé stesso e i suoi valori. Tradito dai suoi amici, espierà i suoi peccati scagliandovisi contro, con l’aiuto di un poliziotto.
John Woo, dopo l’esordio fulminante, regala un noir intenso quasi “kitaniano“, dove violenza, sangue e amore giacciono sullo stesso piano. Non è un semplice film d’azione, The Killer. Esso è ricco di simbolismi, di cupo pessimismo e di indagini umane sul sottobosco criminale “gangster”. Un capolavoro hard-boiled che gli amanti del genere non possono farsi sfuggire.
The Whispering Star – Sion Sono
Tra gli autori asiatici più grandi degli ultimi anni, vi è sicuramente Sion Sono. Uno che, in fatto di eclettismo e “schizofrenia“, sembra aver preso quasi da Parasite per la sua personalità. Autore a tutto tondo, mai banale e incredibilmente interessato al cinema in quanto forma d’arte pura. E The Whispering Star asserisce perfettamente al suo compito.
The Whispering Star ci proietta in un lontano futuro in cui le intelligenze artificiali proliferano ormai in tutto l’universo, mentre l’umanità si è ridotta a un nugolo di comunità sparse sui diversi pianeti in attesa dell’inevitabile estinzione. Machine ID 722 è un’androide, a bordo della Rental Spaceship Z. Con il computer di bordo viaggia da un sistema solare all’altro, consegnando pacchi agli umani. Dopo aver raggiunto Whispering Star, la stella dei sussurri, in cui ogni rumore superiore a 30 decibel può uccidere gli abitanti, l’androide cerca in punta di piedi l’indirizzo della destinataria.
Il film è dominato dalla contemplazione e dal silenzio. Sono riesce a far dialogare la fantascienza poetica di Kubrick e Tarkovskij con l’esistenzialismo lirico di Malick, lavorando in sottrazione. Un vero e proprio must per chi ama la fantascienza filosofica, esistenzialista, ed ha amato film come Interstellar e Arrival. Non perdetevi questo gioiello.
Audition – Takashi Miike
Da Sono, si passa ad un altro autore poco convenzionale. Takashi Miike, infatti, può essere considerato come il più controverso regista asiatico, che vanta come suo estimatore massimo un altro “folle” come Quentin Tarantino. Quando girò Audition, il regista aveva già realizzato 27 film, a testimonianza della sua incredibile prolificità.
Un produttore cinematografico rimasto vedovo decide, dopo anni di solitudine, di risposarsi. Un suo collega ed amico organizza un’audizione di casting fittizia dove l’uomo, in principio riluttante, incontra una misteriosa giovane di cui si innamorerà follemente. La scelta, però, sfortunatamente, si rivelerà infelice.
Audition parla di un amore violento. Dal sentimento più nobile scaturisce il peggior male possibile. Miike gioca col surreale, influenzato da Lynch, Fellini e Cronenberg e si diverte a fare un mash-up di generi, proprio come Joon-ho ci gioca in Parasite. Così dal melodramma si passa al sentimentale, per poi passare al giallo hitchcockiano che si tramuta prima in commedia grottesca e poi in horror. Una folle genialità, che connota quest’opera come probabilmente la massima dell’autore, mente dietro altri cult “estremi” come Ichi The Killer, Visitor Q, Gozu, Izo e L’Immortale. Ideale se volete provare un’esperienza totalmente nuova.
The Blade – Tsui Hark
Il cinema wuxia ha sicuramente lasciato tantissimi capolavori con sé durante tutto l’arco della sua storia. Tra questi, vi è un remake di un grande classico del cinema di Hong Kong quale One-Armed Swordsman, datato 1967. Tsui Hark nel ’95 decide di rigirarlo a suo modo e di chiamarlo The Blade.
La storia narra di Ling, bella e giovane figlia di un maestro proprietario di una fonderia di spade, che si contende l’attenzione di due coetanei, Ding-on e Iron Head. Il primo di questi è in realtà il figlio di un vecchio amico del padre, rimasto ucciso in combattimento per mano del crudele Flying Dragon. Una volta scoperta la verità, spinto dal desiderio di vendetta, Ding-on si prepara a combattere i sicari del padre con l’aiuto del maestro d’armi.
Hark parla di una storia intimista e la mette in scena in maniera potentissima. Non fa sconti. The Blade è sporco, graffiante, violento e incredibilmente malinconico, tra il tragico e l’epico e ritrova nelle sue scene d’azione il grande punto di forza. Le evoluzioni rasentano la perfezione, adempiendo ad un sottotesto drammatico e morale che condanna la sete di vendetta. Un film d’azione come non se ne fanno più.
I’m A Cyborg, But That’s Ok – Park Chan-Wook
Ed eccoci ad una storia completamente diversa, ma ugualmente bizzarra e folle, sulla scia di Parasite. Park Chan-Wook è uno dei “geni” della nuova Corea Del Sud cinematografica, proprio insieme a quel Bong Joon-ho fresco vincitore dell’Oscar. Nella sua eclettica filmografia, dopo gli esordi “tarantiniani” con la trilogia della Vendetta, trova spazio questa magnifica perla, chiamata I’m A Cyborg, But That’s Ok.
Un giorno, al lavoro, la giovane Young-goon (Su-jeong Lim) si taglia le vene e inserisce nella ferita dei cavi elettrici. La malata mentale, convinta di essere un cyborg, viene ricoverata in un manicomio, ma capta un messaggio proveniente da sua nonna nel quale le rivelava lo scopo della sua vita. In ospedale incontra un sacco di personaggi assai particolari, tra cui Park ll-sun, giovane elettrotecnico sociopatico, la cui madre è fuggita portandosi dietro tutti gli spazzolini elettrici di casa. Questo è l’inizio di una delle storie d’amore più folli di sempre.
I’m A Cyborg, But That’s Ok è un’opera ricca e profonda, fantasiosa e originale. Una pellicola che diverte e commuove, capace di far pensare e allo stesso tempo di lasciare inebetiti. Mai eccessivo, senza bisogno di gag, pieno di tenerezza e follia, di amore e violenza (immaginata). Impossibile da catalogare, se non con una parola: arte. Da vedere e rivedere.
Il Buono, Il Matto, Il Cattivo – Kim Jee-Woon
Per non farci mancare niente, l’effetto Parasite può lanciarvi anche su un altro genere che gli asiatici sanno ben orchestrare: il western. Oltre alla versione di Miike del capolavoro Django di Corbucci, spicca un altro omaggio da parte di un altro grandissimo regista come Kim Jee-Woon. Il Buono, Il Matto, Il Cattivo, infatti, rimanda naturalmente al ben più conosciuto capolavoro di Leone.
Il film è ambientato nel deserto della Manciuria durante il 1930. Il Buono (Jung Woo-Sung) ha il compito di recuperare una mappa del tesoro da un ufficiale giapponese su un treno. Prima che possa fare ciò, il Matto (il mitico Song Kang-ho di Parasite) ruba la mappa e si trova coinvolto nel deragliamento del treno messo in atto dal Cattivo (Lee Byung-Hun). Quest’ultimo causa la morte di militari giapponesi e manciuriani, oltre che di civili. Il Matto intanto scappa. Anche un gruppo di banditi manciuriani si mette alla ricerca della mappa. Il Matto spera di scoprire il segreto della mappa e trovare il tesoro sepolto dalla dinastia Qing prima della sua caduta.
Il risultato è uno spaghetti-western coinvolgente, grottesco e pulp in stile tarantiniano. Non manca la critica sociale anti-imperialista e una sorta di critica allo Stato mossa dai proletari, proprio come nel film premio Oscar 2020. Jee-Woon sfrutta il western come cartina al tornasole per parlare, ancora una volta, dei problemi coreani ancora legati ad una visione feudale. Se avete amato Django e The Hateful Eight, non potete perdervelo!
Titoli extra:
- Ferro 3 – Kim Ki-duk;
- Train To Busan – Yeon Sang-ho;
- Lanterne Rosse – Yimou Zhang;
- La Foresta Dei Pugnali Volanti – Yimou Zhang;
- The Man From Nowhere – Lee Jeong-beom;
- Goksung – Na Hong-jin;
- A Bittersweet Life – Kim Jee-Woon;
- Ecco l’impero dei sensi – Nagisa Oshima;
- The Housemaid – Im Sang-soo;
- Poetry – Lee Chang-dong.
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