Si chiama Maviret il nuovo farmaco autorizzato in questi giorni e che promette una cura dell’epatite C con una percentuale di successo del 95%. Vediamo come funziona
Eradicare il virus dell’epatite C con un trattamento unico e poco invasivo. E’ stato questo il punto focale su cui si è concentrato il lavoro dei ricercatori negli ultimi anni, e che ha dato i suoi frutti con la recente approvazione di un nuovo prodotto chiamato
Maviret, disponibile da diversi giorni in svariati ospedali, centri di infettivologia, epatologia e medicina interna. La notizia è stata accolta con notevole clamore dalla comunità scientifica, che ne ha parlato come
un vero e proprio progresso storico, e per comprenderne a pieno la potenza sociale bisogna considerare il suo rispettivo ambito di applicazione.
L’epatite C
L’epatite C è una gravissima
malattia infettiva che ancora oggi continua a contagiare migliaia di persone in tutto il mondo. Si tratta di una
patologia infiammatoria del fegato causata dal virus HCV che si trasmette attraverso il
contatto con il sangue infetto, cosa che può avvenire con lo scambio di siringhe contaminate (è il caso di soggetti tossicodipendenti), oppure se ci si punge inavvertitamente con aghi infetti (può accadere in ambiente ospedaliero ad infermieri e medici o per strada ferendosi con siringhe contaminate abbandonate), o ancora quando ci si sottopone ad applicazioni di piercing e tatuaggi con strumenti non adeguatamente sterilizzati. Dopo il contagio il virus va incontro ad un periodo d’incubazione di almeno 5-10 settimane, durante le quali si instaura una fase acuta della malattia che risulta essere
spesso asintomatica o caratterizzata da sintomi molto blandi (malessere generale, vomito, spossatezza, mancanza di appetito), il che la rende confondibile con una qualsiasi altra patologia. Se non viene intercettata in tempo la patologia
può restare silente per diversi decenni durante i quali tende a cronicizzare, causando
continue lesioni al tessuto epatico espresse soprattutto con la formazione di un tessuto cicatriziale non funzionale che sostituisce quello sano, e degenerare in fenomeni come
la cirrosi epatica ed il carcinoma epatico. La diagnosi della malattia viene eseguita attraverso gli
esami del sangue che si sviluppano a partire da una primaria valutazione del
grado di funzionalità epatica e dall’eventuale presenza di danni al fegato stesso con i cosiddetti
test epatici che hanno la finalità di misurare i livelli degli enzimi epatici e di altre sostanze prodotte dall’organo. Se questi test rilevano qualche anomalia vengono eseguiti altri esami del sangue, per controllare la presenza di una eventuale infezione e con lo scopo di identificare
parti di virus specifici (antigeni),
anticorpi prodotti dall’organismo per combattere il virus o il materiale genetico (DNA o RNA) delle particelle virali.
Il Maviret
Fino ad oggi l’unica cura possibile per l’epatite C era in parte iniettiva, aveva una durata di qualche anno e
la percentuale di guarigione si aggirava intorno al 45%. Il fulcro della terapia era rappresentato da un mix di
sostanze antivirali aventi lo scopo di di eliminare il virus dall’organismo e fare in modo che il suo materiale (HCV RNA) non fosse più presente nel sangue. Il problema principale di questi trattamenti era l’
elevato costo per la produzione e diffusione, la scarsa maneggevolezza degli stessi, nonchè l’ingente mole di
effetti collaterali che scaturivano dalla somministrazione. Alcuni di questi deficit sono stati finalmente abbattuti proprio grazie allo sviluppo del Maviret, un prodotto costituito dall’accoppiamento di
due antivirali (Glecaprevir e Pibrentasvir) che ha dimostrato una
notevole aggressività e capacità di successo unita alla elevata efficacia anche in seguito a
somministrazione per via orale. La prima caratteristica scaturisce principalmente dalla capacità innata del prodotto di
interagire ed eliminare tutti i genotipi virali. In 8 studi principali che hanno coinvolto più di 2.300 pazienti con epatite C, infatti, il 99% dei pazienti non-cirrotici con genotipo 1 ( il genotipo HCV più comune ) ha presentato negatività per il virus già dopo sole 8 settimane di trattamento, mentre il 97% dei pazienti cirrotici era negativo dopo 12 settimane. I risultati erano simili anche per gli altri genotipi (HCV 2, HCV 4 e HCV 6), cosa che ha rappresentato un unicum nel panorama terapeutico dell’epatite C. La sfida adesso è quella di proseguire su questa strada per sensibilizzare, e successivamente trattare, un numero maggiore di soggetti affetti, per la maggior parte dei quali la patologia è ancora silente e non riconosciuta.