“I pesci non chiudono gli occhi” è un romanzo di Erri De Luca, del 2011. Un uomo, cinquant’anni dopo, torna coi pensieri in quell’estate smaniosa che lo vide bambino
“
A dieci anni l’età si scrive per la prima volta con due cifre“, è quanto si legge in
“I pesci non chiudono gli occhi”. La fase adolescenziale somiglia ad un salto in alto, in lungo e in largo:
il corpo resta scarso di statura, mentre
la testa si precipita in avanti. In una estate calda, ansiosa d’una
fretta di crescere,
la vita di un ragazzino
è destinata a cambiare per sempre. Un
uomo, cinquant’anni dopo, torna coi pensieri su quella spiaggia che lo vide bambino, e in cui accadde il necessario, e pure l’abbondante. Un giubileo separa l’
Erri De Luca di oggi da quello di un tempo. Quello con
mani capaci di nuoto e non di difesa. Sotto il sole di un’
isola campana, infatti, quell’adolescente avverte il bisogno di
rompere il proprio corpo. Vuole uscire dal bozzolo difensivo, intravedere la sua nuova forma, oltre le crepe di se stesso. Dire addio al proprio
groviglio d’infanzia ammutolita. Il fisico è una zavorra, mentre il cervello si proietta verso una
adultità in nuce.
L’ansia di diventare adulti A dieci anni,
crescere è collegare
«il nervo tra il dolore fuori e le mie fibre». Ma significa anche accorgersi, passando dal chiuso di una stanza agli orizzonti di una località marinara, delle grida, delle miserie e delle
ferocie degli altri. Vuol dire, inoltre, fare i conti con una
Napoli del dopoguerra, non certo a misura di bambino. Quel ragazzino rivaluterà il verbo
“amare”: non più
ingrediente letterario stucchevole, ma realizzazione concreta in una nuova vita che per lui sembra schiudersi. Declinerà, così, lo stupore di un altro verbo,
mantenere, che non è altro che
tenere per mano.
L’amore pulcino che contiene infiniti addii
Fonte della scoperta dell’amore è una
ragazzina, di cui De Luca serba il ricordo ma non il nome. E’ nordica, amante dei romanzi gialli e degli animali, affezionata al suo personalissimo
concetto di giustizia:
«attenta al caso singolo e che inventa su misura la sentenza, muove dalla misericordia per l’offeso, perciò riesce ad essere spietata». È sempre lei a provocare la
gelosia di tre scugnizzi poco più grandi verso quel ragazzino introverso che non aspetta altro che qualcuno rompa l’involucro dal quale far scaturire un corpo nuovo. Sono
ferite necessarie, per ora solo fisiche. Alla
fine dell’estate, la ragazzina sembra un miraggio l’ontano:
“quell’amore pulcino conteneva tutti gli addii seguenti. Nessuna si sarebbe fermata, non avrei conosciuto le nozze, niente fianco a fianco davanti a un terzo che domanda: “Vuoi tu?”. L’amore sarebbe stato una fermata breve tra gli isolamenti. Oggi penso a un tempo finale in comune con una donna, con la quale coincidere come fanno le rime, in fine di parola.” “I pesci non chiudono gli occhi”, e gli umani?
Erri De Luca, con
brevità e
semplicità, traccia un ricordo nitido della sua infanzia. Ogni capitolo è una pennellata. I colori dell’estate si mescolano alla tinte della
malinconia. Tutto sfuma nell’indistinto
mondo poetico, dove da una metafora può nascere l’amore. Tenero è il
primo bacio tra i due ragazzini. Erri non
chiude gli occhi, come se avesse troppa bellezza e luce da incamerare, in quel momento. Probabilmente, è con quell’atto potente che comincia a vivere davvero, riempendosi le iridi dell’essenza dell’amata. Lei glielo fa notare: proprio come i pesci, lui ha gli occhi sgranati. Quando li sigillerà, sarà finito tutto.
Ma questa è un’altra storia.