First Man è una pellicola che non potrà mai dirsi banale. La storia di Neil Armstrong è stata raccontata con il rispetto che è dovuto ad un eroe nazionale e che ogni libro di storia evidenzia con universale ammirazione. Damien Chazelle, però, non si è limitato a raccontarne le gesta note a noi tutti ma, soprattutto, mostrando un uomo che ha fatto del suo viaggio nello spazio il suo percorso redentivo.
Chazelle narra con linearità la storia che vide Neil Armstrong e Buzz Aldrin atterrare sul suolo lunare. Parte da lontano, parte dalla vita privata di Armstrong, dal suo dolore, dalla perdita della piccola Karen, da una vita irrimediabilmente cambiata e stravolta, parte dal rapporto con sua moglie Janet – interpretata da una meravigliosa Claire Foy. È immediatamente ravvisato, dunque, che il percorso dell’aviatore statunitense non è stato così semplice, ma ancora più istantaneo è l’andamento narrativo che vuole imprimere il regista.
Scartate scene di “mero” patriottismo, Chazelle racconta il vero di quelle vite e lo fa senza alcun eccesso. Appende per brevi attimi le loro tute spaziali, posizionando la cinepresa nelle loro case, ricostruendo le cornici di quei spaccati familiari assolutamente normali. Eppure, tutto ciò lascia immediatamente spazio a ritmi vertiginosi e ansiogeni. Cambiano le riprese, strette, movimentate – quasi da mal di testa – ma che risultano concrete, reali, da cardiopalma. Sono quelle fatte all’interno dell’abitacolo spaziale.
È un racconto granitico, dove viene la nostalgia, la paura, il dolore vengono messe alla luce in un film che può essere definito “intimista”. A Chazelle va il merito di aver usato straordinario tatto e di non esser caduto in misere banalità.
Ryan Gosling supera a pieni voti l’ardua prova. L’astronauta statunitense è schivo, introverso, silenzioso, scruta il cielo come se sapesse già cosa ci troverà. Mentre la morte della figlia Karen e, successivamente, dei suoi amici-colleghi lo segnano indelebilmente. L’emozionalità si evince nei piccoli dettagli: nelle iridi cerulee dell’attore. Gosling non mostra mai eccitazione, anzi. C’è sacrificio, c’è sofferenza, c’è la consapevolezza che il “piccolo grande passo” è un dovere nazionale.
Claire Foy, diversamente, dimostra di essere l’attrice del momento. Janet è una donna forte, che ha accettato il lavoro di suo marito, nonostante desiderasse – come lei stessa ammette – “una vita tranquilla”. Tiene testa alla prova attoriale del collega Gosling. È l’unica, che durante l’intera pellicola, grida. È un passaggio da non sottovalutare: è lei quella che non viene ascoltata, è lei quella a restare sola, è lei quella a dover attendere, è lei che deve sorreggere sulle sue spalle il peso della famiglia. È lei, che alla fine, esplode in mille rivoli.
Il viaggio di Armstrong ha rappresentato uno spartiacque nella storia dell’umanità. Ha rappresentato la rivincita degli Stati Uniti sull’Unione Sovietica. Ma cos’ha rappresentato per l’aviatore? Ebbene, Chazelle porta alla luce, nelle ultime scene di First Man, un’epifania sorprendente, il massimo punto emozionale. Si comprende come il viaggio nello spazio appia dato la possibilità ad Armstrong di andare oltre, di superare tutto il dolore che fatto albergare per anni nel suo cuore. Neil prende il bracciale di Karen, lasciato in quel cassetto per anni, lo stringe nel pugno per poi lasciarlo cadere lì, in un cratere lunare. La lascia andare, capisce di aver superato finalmente quella perdita che aveva lasciato una voragine nella sua vita. Chazelle ha raccontato che non è dato sapersi se è successo o meno il fatto, ma Neil durante la “passeggiata” per circa 10 minuti non ha dato alcuna comunicazione alla Stazione Base. Il regista ha confermato che l’astronauta ha, molto probabilmente, lasciato qualcosa sulla Luna, ma non è dato sapersi cosa. Questo, di certo, rende ancora più emozionante l’intera scena.
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