“Pelé good, Maradona better, George Best”: al di sopra di ogni mortale si ergeva lui, George Best, stella luminosissima che finì per abbagliare sé stesso.
Si è tanto raccontato negli anni del leggendario calciatore di Belfast; tra aneddoti e dicerie, la sua sregolatezza fuori dal campo lo ha accompagnato nella vita tanto quanto quella nel rettangolo di gioco.
Avrebbe compiuto 74 anni oggi, se non avesse amato troppo, o troppo poco, la sua vita: tra eccessi e lusso George Best ha segnato una stagione calcistica, quella degli anni 60-70, diventando uno dei giocatori più belli, stilisticamente, e decisivi della storia del calcio.
Con il Manchester United scrisse tra le pagine più brillanti della storia del club, portando i Red Devils al dominio inglese ed europeo, e assicurandosi nel 1968 anche il Pallone d’Oro.
La popolarità e il successo, però, saranno causa del suo declino, e dopo la fine della sua esperienza con la maglia dei Diavoli, vagabonderà tra Scozia, Stati Uniti, Australia e Irlanda del Nord, senza mai più brillare allo stesso modo.
Ma se il contributo che Best diede a questo sport in quanto atleta è innegabile, è nella letteratura, nella poesia, del calcio che il fenomeno nordirlandese ha scolpito il suo nome a lettere cubitali, contribuendo con la sua storia ad alimentare il fascino e la magia di questo sport.
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