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Il Governo come in una partita a scacchi estenuante e non priva di colpi di scene è ormai vicino alle ultime mosse decisive. I leader della maggioranza non hanno però la certezza di come si chiuderà la sfida e per ora restano ancora soltanto delle ipotesi che possono fare chiarezza sull’identikit del Governo futuro.
Il Presidente del Consiglio fin da subito ha adottato la tattica democristiana del temporeggiatore che ad ogni modo potrà giovargli. Se gli va bene, infatti, il tutto finirà con un Conte ter che ad oggi è l’ipotesi più accreditata. Dovrà cioè dimettersi, aprire una crisi di 36-48 ore, rifare il programma, cedere la delega sui Servizi, cambiare la squadra. Scendere a patti per salvare Palazzo Chigi, condizione vitale per un leader senza partito. Ma le crisi sono sempre difficili da prevedere durante il loro corso e la sua tattica non sarebbe priva di rischi. Lo spettro del governo diverso, di scopo, di programma, di unità, comunque senza Conte, si aggira ancora nei corridoi di Palazzo Madama.
La puntata massima di Renzi non è andata a buon fine. Conte non è stato abbandonato dal Pd figuriamoci dai 5 stelle. Il rottamatore di Rignano non ha studiato bene i tempi. L’Italia di gennaio è così piena di guai e così già in ritardo con i piani di ripresa che una crisi di governo è oggi molto meno popolare di quanto non lo sarebbe stata, ad esempio, a settembre. Soltanto i suoi contenuti gli hanno dato davvero ragione. Se il Recovery è stato riscritto su sanità e infrastrutture, spostando risorse sugli investimenti, vuol dire che le sue obiezioni erano fondate. A questo punto per lui è meglio incassare la puntata minima, un Conte ter magari con la Difesa a uno dei suoi, come rampa di lancio per un incarico alla Nato dato che il suo vecchio amico è ora inquilino della Casa Bianca. In fin dei conti, ha più spazio di manovra con Conte al governo che in un possibile esecutivo con una maggioranza più ampia.
L’obiettivo del leader dem prefigura una ridimensionata al premier pur senza cambiarlo: in questo senso il Conte ter farebbe al caso suo. Renzi del resto ha usato tutti i suoi cavalli di battaglia, compreso il Mes. Se poi fosse addirittura premiato con il ministero degli Interni dove si parla di Guerini, allora avrebbe riportato il Pd nel cuore dello Stato. Niente male per un partito che aveva perso le elezioni politiche ed era dato per morto prima in Emilia e poi in Toscana. Il prossimo obiettivo è scegliere l’inquilino del Quirinale. Se invece Conte non regge, per lui sono dolori. Si entrerebbe nel solito vicolo cieco dei democratici a supporto di un nuovo governo
Di Maio e Franceschini sono la nuova coppia forte del governo. Pur avendo entrambi ambizioni più alte della posizione attuale, hanno saputo muoversi tra le linee, lavorare dietro le quinte, rafforzando immagine, contatti e reti di relazione. Condividono d’altra parte la stella polare della loro navigazione: ottenere una legge elettorale che restauri il sistema proporzionale. Ciò consentirebbe al M5S di sopravvivere nella prossima legislatura e al Pd di essere il baricentro di qualsiasi maggioranza senza e contro Salvini. Nel frattempo, devono tenere per forza alleati i loro due partiti: ciascuno senza l’altro è destinato alla sconfitta, a partire dalle prossime elezioni nelle grandi città.
Se sulle prime pagine dei giornali e nelle trasmissioni televisive Matteo Renzi sembra figurare come paladino della crisi di Governo lo stesso non si può dire per ciò che accade all’interno del Parlamento. I responsabili che contano, cioè quelli che stanno al Senato, non sono venuti fuori. Almeno per ora. La continua attesa di un responsabile che non c’è è servita soltanto ad allungare i tempi. Intanto nel libro dei sogni del Governo di unità nazionale c’è un solo nome: Mario Draghi. Eppure se le cose dovessero andare male per Conte a Palazzo Chigi potrebbe finirci anche la prima donna della storia: Marta Cartabia. Ad ogni modo, lo ripetiamo, la partita è ancora aperta e le combinazioni della scacchiera sono troppo imprevedibili per poter essere anticipate. Il tempo è l’unica variabile che continuerà a fare il suo corso in un Paese nella costante attesa di decisioni e prese di posizione che sembrano non arrivare mai.
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