22 Ottobre 2018 - 08:00

Il Giro Dell’Oca: Erri De Luca scrive la sua storia più intima

Il giro dell'oca Erri De Luca

È una sera senza corrente elettrica, rischiarata dalla fiamma del camino. Al tavolo, Erri De Luca, in veste di padre, ed il suo quasi figlio

Sprofondato nella placenta della notte, Erri De Luca avverte nelle ossa la presenza di suo figlio. Quel figlio mai avuto, strappato con un aborto alla donna con cui, in passato, l’aveva concepito. Erri racconta a quell’inconsistente prolungamento di séun poco di vita scivolata“, fino a far divampare il monologo in un dialogo.

Pagina dopo pagina, si infittisce la discussione a due voci sulla vita, sugli affetti, sui libri letti e su quelli scritti, sulla fede, sull’importanza delle storie e delle parole. Con Il Giro Dell’Oca, edito Feltrinelli e fresco di stampa, l’autore ci consegna il suo testamento spirituale e la sua ricerca interiore. Entrambi assumono i tratti di una rivelazione.

La Fede, il Tatto, la Solitudine

Tra i temi scandagliati, emerge quello della fede. Lo scrittore non crede in una divinità creatrice; il suo Dio è il vocabolario. Il miracolo, alla luce del fatto che le parole non siano utensili ma materia vivente e quindi anche morente, è quello di potersi fare strumento di trasformazione per convertire la vita svolta nella vita scritta.

Giungiamo al tatto. La prima intuizione del suo valore si manifesta per Erri De Luca come un’epifania, a quattordici anni, quando una ragazza gli prende la mano che aveva appoggiata sul ginocchio. Da allora, quel senso per lui si trova in cima alla conoscenza, perché ogni parte del corpo diventa vertice nel potente momento del contatto.

Inoltre, trapela, tra le righe, una dolorosa ammissione di solitudine. Un figlio mai nato, una persona d’aria, può vederne il germe in suo padre: “Tu in questa campagna assomigli a una pianta, a una stanza, più che a un uomo. E ancora, come se non bastasse: “Hai così bisogno di compagnia da inventare una lingua della pioggia“.

Il giro dell’oca: una pedina immobile

Quasi alla fine del romanzo, l’autore evoca l’immagine chiave: il gioco dell’oca. La sua vita è stata il giro di una pedina in un circuito a spirale. Gli sembra di aver battuto un percorso segnato, in cui ogni passo corrisponde ad una casella, una stazione.

La libertà è stata quella di avere nel pugno un dado a sei facce e di disporre della scelta di lanciarlo o meno, come un alpinista decide se scalare una parete o aggirarla. Padre e figlio sono entrambi dentro questo labirinto, ma Erri decide di fermarsi in un punto, come la più dolce delle rese, e di concedere la prossima mossa alla sua “sostanza svaporata”.

Capolinea, papà, siamo arrivati.” I due ritornano uniti, in un corpo solo.