Accelera l’inflazione in Italia, uno studio condotto dall’Istat rivela che sale ad un livello esorbitante, +8%. Un tale livello non si registrava dal 1986. Particolarmente elevata è la spinta inflazionistica sui beni energetici, la cui crescita passa da +42,6% di maggio a +48,7% (giugno).
Nelle economie di mercato i prezzi di beni e servizi possono subire variazioni in qualsiasi momento: alcuni aumentano, altri diminuiscono. Si ha inflazione quando si registra un rincaro di ampia portata, che non si limita a singole voci di spesa. Questo significa che con un euro si possono acquistare oggi meno beni e servizi rispetto al passato. In altre parole, l’inflazione riduce il valore della moneta nel tempo.
L’Istat segnala che l’accelerazione dei prezzi degli alimentari lavorati (da +6,6% a +8,1%) sia non lavorati (da +7,9% a +9,6%), spingono ancora più in alto la crescita dei prezzi del cosiddetto “carrello della spesa” (+8,2%, mai così alta da gennaio 1986, quando fu +8,6%). L’“inflazione di fondo”- si legge nel rapporto pubblicato dall’ISTAT- al netto degli energetici e degli alimentari freschi, accelera da +3,2% a +3,8% e quella al netto dei soli beni energetici da +3,6% a +4,2%.
Su base annua accelerano sia i prezzi dei beni (da +9,7% a +11,4%) sia quelli dei servizi (da +3,1% a +3,4%); si ampia, quindi, il differenziale inflazionistico negativo tra questi ultimi e i prezzi dei beni (da -6,6 di maggio a -8,0 punti percentuali). Accelerano i prezzi dei Beni alimentari, per la cura della casa e della persona (da +6,7% a +8,3%) e quelli dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto (da +6,7% a +8,4%).
L’aumento congiunturale dell’indice generale è dovuto a diverse componenti e in particolare ai prezzi dei Beni energetici non regolamentati (+6,0%), dei Servizi relativi ai trasporti (+2,0%), degli Alimentari lavorati (+1,7%), dei Servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (+1,3%) e dei Beni non durevoli (+0,7%). L’inflazione acquisita per il 2022 è pari a +6,4% per l’indice generale e a +2,9% per la componente di fondo. Secondo le stime preliminari, l’indice armonizzato dei prezzi al consumo (IPCA) registra un aumento su base mensile dell’1,2% e dell’8,5% su base annua (da +7,3% nel mese precedente).
La nuova spinta inflazionistica non colpisce tutti allo stesso modo. L’impatto della fluttuazione dei prezzi si fa sentire di più per le famiglie meno abbienti rispetto a quelle più agiate. Sono infatti le famiglie con meno possibilità economiche a risentire del cambiamento di prezzi. Dividendo le famiglie in cinque classi di spesa, data la quota di spesa per beni essenziali che cambia a seconda del reddito, l’Istat rileva che nel secondo trimestre di quest’anno per le famiglie meno abbienti l’indice Ipca (armonizzato, quello di cui si tiene conto per l’indice Ue pubblicato da Eurostat) è già arrivato al 9,8% (era all’8,3% nel primo trimestre), con un differenziale del 3,7% rispetto al 20% di famiglie più abbienti, che impiegano una quota minore del proprio reddito per le bollette e i beni di prima necessità e per le quali quindi l’inflazione è ancora al 6,1% dal 4,9% del primo trimestre.
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