5 Giugno 2021 - 16:27

“Invisibili, fino a prova contraria”: i senza fissa dimora

senza fissa dimora

Le disuguaglianze della strada, l’emergenza Covid e i diritti negati: la vita dei senza fissa dimora, “invisibili fino a prova contraria”

Restate a casa“,”Io resto a casa“, “Stare a casa è sicuro“. Quante volte ce lo siamo sentiti dire, ripetere quasi fino allo sfinimento in questo periodo d’emergenza? Un unico slogan diventato simbolo indiscusso della lotta al Covid-19.

D’improvviso, le strade sono diventate il vero grande pericolo, la miccia capace di innescare un effetto a catena devastante. La casa, invece, l’unico posto sicuro. Eppure, cosa accadrebbe se una casa non ce l’aveste? Come vi sentireste al pensiero di essere catapultati nell’unico luogo in cui, con ogni probabilità, la vostra vita potrebbe essere messa a rischio? Che cosa accadrebbe se la vostra casa fosse la strada?

I senza fissa dimora e i dati a disposizione

Dei senza fissa dimora se ne parla poco o niente e altrettanto carenti sono i dati a disposizione. L’avvocata Claudia Pecoraro, coordinatrice dello sportello Avvocati di Strada offre una definizione calzante delle condizioni dei senza fissa dimora, lontano dalle generalizzazioni a cui normalmente si è abituati: “Il senza fissa dimora non è semplicemente una persona che vive per strada. Per senza fissa dimora deve intendersi anche la persona che vive in condizioni abitative di estrema povertà. Persone che vivono all’interno di container. Tutt’ora abbiamo a Salerno persone che occupano i garage e che vivono nei garage anche con i nuclei familiari“.

Con non molta sorpresa, le più recenti indagini Istat risalgono al 2015 e stimano che, all’incirca 50.724 persone sarebbero costrette a fare della strada la propria casa. Si parla di condizioni di estrema povertà, di disagio profondo legato prima di tutto alla mancanza di una casa, intesa come rifugio o luogo intimo e di riparo, ma anche alla povertà di beni materiali per la sussistenza primaria e a fragilità interpersonali molto complesse.

Eppure, i dati a nostra disposizione possono presentarci un quadro, per quanto già allarmante di per sé, soltanto ipotetico o abbozzato. In realtà, è possibile pensare a numeri ancora più preoccupanti e a condizioni d’instabilità ancora più critiche di quelle suggerite dai dati a nostra disposizione.

 Il campione, raccolto secondo la classificazione ETHOS, sembra tracciare una sorta di profilo standar del senza fissa dimora, categorizzandolo secondo il genere, età o provenienza. Secondo le indagini Istat, circa l’85,7% sarebbe rappresentato da uomini, di cui 4/5 italiani “cronici”, ovvero frequentatori della strada da più di 4 anni.

Più della metà proverrebbe, invece, da altre parti del mondo, come Marocco, Tunisia, Albania e Romania, con età compresa tra i 40 e i 44 anni e localizzati per lo più nel Nord Italia.  Le donne, invece, rappresentano il 14% delle persone senza fissa dimora, circa 6.239 donne si ritroverebbero in strada per motivi spesso causati da rotture familiari o sentimentali.

I dati forniti però, non sembrano includere le molteplici varianti e le sfaccettature di ciò che significa vivere in strada. L’emergenza Covid ha, infatti, acuito quelle disuguaglianze e disparità già presenti e conosciute, ma forse, troppo spesso ignorate. Invisibili, fino a prova contraria significa prestare attenzione ai tanti che della strada, per scelta o costrizione, ne hanno fatto la propria casa. Per conoscere le difficoltà di chi ogni giorno tenta di ritagliarsi una realtà che sappia anche solo lontanamente di quotidianità, ci siamo rivolti a chi la strada la conosce, la vive e ci si avvicina con estrema delicatezza.

La “Marea” di solidarietà e i ragazzi de “La Brigata di Strada”

I ragazzi de La Brigata Unità di Strada, un gruppo di giovani volontari dell’associazione Marea, la strada la bazzicano da un po’, offrendo assistenza ai tanti fissa dimora della città di Salerno. Pasti caldi, ma anche raccolta abiti e condivisione, il lavoro della Brigata si rivolge alla città, una città che parte dalle strade: “Operiamo solo nella città di Salerno e ci troviamo a dover pasti a una sessantina di persone, tra strada e dormitori. Di sabato in sabato, anche nella distribuzione, chiediamo di volta in volta i panni che servono” – ci racconta Ciro D’Antonio, volontario del servizio in strada.

Assistenza, ma anche convivialità e fiducia, una sorta di scambio settimanale che tenta di andare oltre le mancanze: “Oltre al pasto, all’acqua e alla monoporzione però, la chiacchiera è quasi spontanea. Anche perché si trovano davanti qualcuno a cui dar fiducia, e noi abbiamo tanta fiducia da parte loro, quindi gliela dobbiamo ripagare in qualche modo, con qualche informazione in più, con una chiacchiera. Quindi diamo anche un po’ di amore, insieme alla monoporzione“.

L’aiuto si dà, l’aiuto lo si riceve?

Uno degli ostacoli più grandi di chi offre servizio in strada è che non sempre l’aiuto lo si chiede, o si è pronti anche solo a riceverlo.

Per molti, la strada non è soltanto una realtà temporanea, un luogo da cui fuggire in attesa di un lavoro o di un’abitazione. Per molti la strada è fatta di abitudini e volti conosciuti, un luogo in cui chiedere permesso prima di entrare e dai cui, spesso, è difficile distaccarsi: “Abituati alla routine della strada, spesso non si ha voglia di andare in un posto al caldo, dormitori che sono disponibili, loro rifiutano di andarci – ci racconta Matteo Zagaria, membro di Marea e volontario de La BrigataC’è chi magari deve essere convinto, c’è chi è portato a essere diffidente e quindi a non credere che ci possa essere qualcosa che crei beneficio. Non sai le persone che ci sono con te, perché la convivenza ci si dimentica che cos’è dopo essere stati per tanto tempo in strada, ci si dimentica che condividere degli spazi chiusi con altre persone è comunque un impegno. L’aiuto non è sempre un: ‘Io ti do e tu prendi’, oppure ‘Tu chiedi e io ti do’. Spesso diventa quasi un gioco di rapporti, di relazioni“.

Le dipendenze e la strada

Molto spesso la strada diventa sinonimo di dipendenza, riconoscendo in essa l’origine e non la conseguenza della condizione dei senza fissa dimora. In realtà, contrariamente a quanto si pensi, soltanto una bassa percentuale, circa il 14%, si troverebbe in strada per motivi dovuti a dipendenze o disturbi mentali. Nonostante questo, però, il vortice delle dipendenze è più che reale ed è spesso conseguenza dell’aver perso la propria casa, il lavoro o della mancanza di opportunità. Ciò che preoccupa però, è la carenza di una rete di assistenza specializzata che parta dal territorio e che sia pensata ad hoc per le esigenze e le problematiche individuali di ciascun senza fissa dimora.

Una rete di salvataggio, di professionisti capaci di fornire gli strumenti adatti a chi, non solo è escluso dai servizi garantiti a un qualsiasi cittadino, ma che spesso, soffre di patologie o dipendenze molto complesse e delicate da trattare: “Ogni anno, di volta in volta, si trova una soluzione parziale, ma non esiste qualcosa di sistemico, di continuativo nel tempo, di lungimirante, che possa essere un percorso verso strutture di recupero e comunità. C’è chi magari ha una dipendenza e contemporaneamente avrebbe bisogno di recuperare un rapporto con sé stesso. Quindi magare soffre di qualche disturbo, soffre di qualche patologia, che però va approfondita e ha bisogno di un percorso a sé stante, costruito, cucito sulla vita della persona. Noi purtroppo con i mezzi che abbiamo, con le competenze che ci mancano, possiamo fare solo un lavoro da operatori“.

Essere donna senza fissa dimora

La vita in strada per le donne è ancora più difficile. Una donna deve, infatti, fare i conti non solo con i pericoli comuni della strada, ma anche con il fatto stesso di essere donna: “Il problema delle donne è grave: in genere, poiché i dormitori sono gestiti da enti ecclesiastici sostanzialmente, non accettano donne. Quindi di conseguenza si crea una disparità grave tra uomini e donne. Non hanno a disposizione un riparo, un rifugio, un’accoglienza, dove si può stare al caldo, dove ci si può lavare, e curare l’igiene“.

Essere donna senza fissa dimora equivale spesso a rinuncie e compromessi, nel tentativo di combaciare la mancanza di un riparo alle difficoltà della strada: “In strada la maggior parte delle volte, le donne che stanno in stazione o stanno sui marciapiedi, in vicoli, dove capita, sono più esposte a vessazioni, a molestie. Diventano bersaglio più che altro di disturbo da parte o degli uomini che sono in strada, a volte si creano purtroppo anche meccanismi malati, anche rapporti sessuali, che poi diventano sfruttamento.

Salerno come tappa intermedia

Più della metà di chi vive in strada viene, in realtà, da altre parti del mondo.

Gli immigrati scelgono Salerno solo come tappa intermedia, partendo dalla Sicilia o dalla Calabria, in cui trovano lavoro nei campi, spesso soggetti a sfruttamento e caporalato: “Noi abbiamo la Piana del Sele con tutti i suoi terreni, dove purtroppo si consuma anche molto spesso sfruttamento e caporalato. Quindi Salerno di conseguenza come città, diventa centro, crocevia dei percorsi di vita di queste persone. Un altro fenomeno particolare è quello dei ragazzi che generalmente si trovano davanti ai supermercati. Molti di loro risiedono a Potenza perché i fitti sono bassi, mentre qui sono altissimi“.

 Una città troppo costosa da vivere a causa dei fitti troppo alti, ma un punto adatto a raccogliere risorse indispensabili, racconta Zagaria: “Passano il weekend, a costo di dormire in strada, davanti ai supermercati di Salerno, perché c’è attività, c’è via vai, e poi ritornano il lunedì e passano la propria settimana a Potenza. Perché è molto conveniente per loro chiedere soldi davanti ai supermercati”.

Diritti sì, diritti no, diritti forse

Le disuguaglianze di chi vive in strada si calcolano soprattutto in termini di diritti mancati o negati. Lo sa bene Claudia Pecoraro, coordinatrice dello sportello di Salerno di Avvocato di Strada, un gruppo di avvocati volontari impegnati dal 2011 in quello che Pecoraro definisce “lo studio legale più grande d’Italia“.

Avvocato di Strada, racconta Pecoraro, “nasce con lo scopo fondamentale di garantire assistenza e consulenza legale, assolutamente gratuita, a tutte le persone senza fissa dimora. Chi vive una situazione di estrema marginalità sociale di estrema povertà si trova ad affrontare da quelle che sono le problematiche legali che possiamo affrontare tutti quanti noi, a quelle che invece sono delle situazioni giuridiche che noi pensiamo essere assolutamente inesistenti all’interno di uno Stato sociale”.

La mancanza di una residenza fissa e stabile comporta, oltre alle problematiche più basilari, anche e soprattutto l’esclusione da una serie di diritti che uno Stato dovrebbe poter garantire, portando lentamente alla marginalità giuridico-sociale-assistenziale: “Io non ho la residenza, io non ho il medico di base – spiega Pecoraroio non ho la residenza, io non sono iscritto nelle liste elettorali, io non ho la residenza, io non posso chiedere la pensione sociale, non posso chiedere la pensione d’invalidità perché non so a chi chiederla, non posso chiedere neanche il reddito di cittadinanza. La tematica principale che noi ci troviamo ad affrontare da un punto di vista di tutela dei diritti sociali e dei diritti civili è quella legata al diritto all’abitazione.

Per chi non gode del diritto all’abitazione si è così pensato alla Residenza Fittizia, un istituto nato dieci anni fa, ma purtroppo non ancora applicato da tutti i Comuni d’Italia. Gli ostacoli incontrati nell’applicazione sono molteplici, ci spiega Pecoraro, perché “parlare dei senza fissa dimora significa toccare delle corde molto sensibili dello Stato sociale. Prendere consapevolezza del fatto che esiste una realtà di povertà così estrema, di marginalità così forte, significa prendere davvero consapevolezza della condizione economica e sociale in cui stiamo vivendo in questo momento. Ed è molto più comodo fare come lo struzzo che nasconde la testa sotto la sabbia, far finta di non vedere, perché altrimenti bisognerebbe fare dei conti che alle volte pesano”.

Solidarietà e ancora solidarietà

La città di Salerno non manca di solidarietà, una spinta che accompagna ormai da anni il presidente dell’associazione Venite Libenter, Rossano Braca, uno dei primi nella gestione sul territorio campano di un centro di prima accoglienza:

È nato tutto 6 anni fa, quando iniziarono gli sbarchi a Salerno, quindi come moto spontaneo. All’inizio soltanto raccogliendo abiti e generi di prima necessità, quando ci recammo a consegnarli, ci chiesero se potevamo dare anche una mano operativa all’interno dei campi d’accoglienza. Ogni nave sbarcava un migliaio di persone, di cui circa un centinaio erano minori non accompagnati che andavano accolti, gestiti e poi indirizzati verso le case famiglia. Finita quest’ondata di sbarchi poi con l’inverno, si era creato questo bel gruppo di persone affiatate, decidemmo di uscire per strada e di cercare se c’era qualcuno che aveva bisogno, così iniziarono le unità di strada. Credo che siamo stati la prima associazione a fare questo tipo di lavoro quotidianamente, ad andare in giro in strada, era inverno, quindi con bevande calde, cibo, coperte”.

Pasti caldi anche durante il Covid, con una cena da asporto presso la parrocchia San Demetrio di Salerno, uno dei momenti più critici per i senza fissa dimora: “Il momento più critico sicuramente è stato in pandemia, è stato durante la prima ondata perché inizialmente si ripetevano e si moltiplicavano gli appelli a restare a casa. In verità, un po’ in tutta Italia si è alzato un grido di solidarietà. E cioè: attenti a chi una casa non ce l’ha. A chi a casa non ci può restare“.

Dove arriva la solidarietà, dove serve lo Stato?

Un’ondata di solidarietà arriva anche da Cucine Solidali, un progetto che unisce volontari di ogni età e chiede in prestito mani, mestoli e fornelli, tutto per assicurare un pasto caldo a chi vive in strada. Una monoporzione cucinata prima del servizio di volontariato in strada dai volontari di Cucine Solidali e dai ragazzi de La Brigata di Strada o una mensa, quella gestita da Rossano Braca pronta ad accogliere anche quando le porte, causa Covid, rimangono socchiuse.

Per quanto la solidarietà della comunità sia preziosa, sembra scontato dire che non può e non deve bastare. Non potrà bastare fino a quando il problema dei senza fissa dimora e, dunque, il problema dell’estrema povertà, non diventi un problema delle pubbliche amministrazioni, un problema dello Stato: “È lo Stato che deve provvedere ai non abbienti; è lo Stato che deve garantire la tutela dei diritti umani e dei diritti civili; è lo Stato che deve mettere tutte e tutti nella condizione di poter esercitare e di vedere garantiti i propri diritti costituzionali. Ove questo non accade lo Stato sta fallendo“. E quando lo Stato fallisce, stiamo fallendo tutti, senza esclusione di colpa, perché si è invisibili, sempre fino a prova contraria.

L’INCHIESTA

Servizio a cura di: Fabiana Raimo, Pietro Marchesano, Francesco Celetta;
Articolo, documentazione e ricerche: Fabiana Raimo;
Interviste: Fabiana Raimo e Pietro Marchesano;
Riprese e montaggio: Francesco Celetta