26 Novembre 2018 - 16:58

La carica dei 101: l’antropomorfa animazione a macchie

la carica dei cento e uno

La carica dei cento e uno” è un lungometraggio Disney del 1961. Rappresenta il Classico Disney numero diciassette e uno dei più importanti della storia del cinema animato

Ci si chiede spesso quale sia il vero obiettivo nel mondo del cinema. Da un lato la storia ci parla della scienza, della tecnologia, di una serie di processi evolutivi. Dall’altra però, l’uomo si è sempre avvicinato alla comunicazione, dall’epica alla poesia, studiando e sperimentando forme letterarie e narrative che rappresentassero il mondo.

Questo dualismo è presente anche nel piccolo grande mondo dell’animazione. Se da un lato Disney stupì il mondo con Biancaneve e i sette nani, allo stesso tempo lo riportò anche alla realtà. Lo stupore nasce per le invenzioni, per le capacità tecniche, per la realizzazione di prodotti che fin da subito si potesse intuire di come avrebbero trovato posto nel mercato.

Ma d’altronde i classici Disney vengono ricordati tutt’ora per le favole, i personaggi e le storie divenute iconiche e fonte d’ispirazione. Rappresentazioni della realtà metaforizzate con la musica, la danza, i colori e la natura.

Ma arrivò un momento in cui lo studio d’animazione Disney aveva perso di vista l’obiettivo. I lungometraggi faticavano a trovare consensi della critica così come incassi al botteghino. Ma cosa mancava? Probabilmente, ancora una volta, stupire come un sogno e allo stesso tempo tornare alla realtà.

La sperimentazione Xerox per abbattere i costi

La carica dei cento e uno è il Classico Disney numero 17. Nel 1961 usciva nelle sale il lungometraggio che avrebbe rilanciato l’animazione sul grande schermo.

Dopo il fallimento inaspettato de La bella addormentata nel bosco, Walt Disney stesso e il suo studio iniziarono a considerare meno la necessità di programmare ulteriori film d’animazione.

La situazione economica non era delle più rosee e la solita favoletta vista e rivista iniziava a scontentare il pubblico.

Ma l’intuito e la sensazione di Disney non vennero meno. Nel 1957, Walt lesse il romanzo di Dodie Smith intitolato I cento e una dalmata. Ne acquistò immediatamente i diritti e nel 1961, sotto la regia di Reitherman, Geronomi e Luske usciva La carica dei cento e uno al cinema.

La produzione accettò l’investimento grazie alla tecnica della fotografia Xerox sperimentata da Ub Iwerks, braccio destro fin dai tempi di Topolino di Walt. Il meccanismo evitava i lunghi e costosi impieghi dell’inchiostrazione. Abbandonando dunque il comparto tecnico, la Disney produsse una delle storie più belle e innovative del suo genere.

A metà dei costi di produzione, La carica dei cento e uno risultò tra i primi 10 migliori incassi cinematografici del 1961.

L’antropomorfa animazione a macchie

La carica dei cento e uno è la storia di una grande fuga di 99 cuccioli di dalmata. Una fuga dalle grinfie della perfida Crudelia De Mon, uno dei villain più famosi della storia del cinema. L’antagonista infatti, stavolta, non possiede alcun potere magico, né è autore di qualche malvagio sortilegio. Crudelia De Mon funziona – quasi più dei protagonisti – proprio perché possiede ciò che più di cattivo si possa avere: tutta la cattiveria riconducibile ai veri esseri umani.

Pongo e Peggy, invece, sono in simbiosi con i loro padroni Rudy e Anita, i cui parallelismi li inquadrano come apprensivi, protettivi e ricchi d’affetto. Esattamente come la figura eroica di un genitore impressa nell’immaginario dei più piccoli.

Anche gli scagnozzi Gaspare e Orazio funzionano non tanto per le loro intenzioni, ma per i loro modi burberi ma al contempo divertenti. I due personaggi, sul tramontare dello scorso secolo, ispireranno i cattivi del celebre film natalizio Mamma ho perso l’aereo!

Nessuna canzone, nessuna magia, nessun incantesimo. La carica dei cento e uno rappresenta il lungometraggio d’animazione meglio antropomorfizzato, rivoluzionando la concezione stessa di film d’animazione.