Lattoferrina, lattoferrina e ancora….. lattoferrina. È questa la parola più sentita negli ultimi giorni tra i corridoi di farmacie ed aziende del settore, nonché quella in grado di fare il paio con l’ormai ben più nota “Covid–2019″ in cima alla classifica dei risultati di ricerca e nelle tendenze di Google. Il motivo alla base di questo fenomeno è da rintracciare in un recente studio di ricerca promosso dall’Università Tor Vergata di Roma che ha messo in evidenza una presunta attività antivirale posseduta da questa sostanza, cosa che se da un lato apre un barlume di speranza per il futuro, dall’altro ha avuto come effetto immediato l’aumento spropositato di vendite e richieste per la molecola dovute alla convinzione di aver finalmente trovato la panacea per tutti i mali della pandemia in atto. Ma purtroppo, almeno per il momento, non tutto è oro quel che luccica.
Isolata per la prima volta nel 1939 da un campione di latte vaccino, da cui trae anche parte del nome, la lattoferrina è una glicoproteina globulare già ampiamente nota in ambito scientifico in virtù della sua notevole versatilità messa in evidenza attraverso proprietà antiossidanti, immunostimolanti, perché fondamentale per l’attività di alcuni globuli bianchi, antinfiammatorie, e regolatrici per quanto riguarda l’assorbimento del ferro a livello intestinale. Abbondante nel colostro e nel latte materno, dove aiuta lo sviluppo di batteri intestinali benefici per l’intestino dei neonati, la sua quantità diminuisce col passare del tempo ed in età adulta una buona percentuale tende ad addensarsi nella saliva e nelle mucose prossimali dove riveste un’attività antimicrobica di prima linea, grazie alla sua capacità di legare gli atomi di ferro circolanti sottraendoli alle cellule potenzialmente patogene che in questo modo sono costrette ad arrestare la propria proliferazione.
Proprio quest’ultima capacità posseduta dalla molecola è stata al centro di un massiccio studio di ricerca svolto dall’Universita Tor Vergata in sinergia con La Sapienza di Roma, il quale si è sviluppato a partire dall’ipotesi secondo cui i bambini, essendo dotati di una concentrazione fisiologica maggiore di lattoferrina rispetto agli adulti, sembrano sviluppare meno i sintomi del virus. Partendo da questo presupposto gli scienziati hanno operato somministrando dosi variabili di lattoferrina in compresse o spray su di un campione composto da circa cento soggetti risultati positivi al Covid, notando immediatamente una notevole remissione dei sintomi in una proporzione tale da garantire l’immediata pubblicazione dei risultati sulla rivista scientifica “Journal of molecular science” sotto il titolo “Lattoferrina, una probabile risposta al Covid-19”. Stando ad una sommaria ipotesi, infatti, una delle attività della lattoferrina sembrerebbe essere compatibile anche con il coronavirus che, privato degli atomi di ferro circolanti, resterebbe in un certo senso “affamato” e con ridotte capacità proliferative a lungo raggio.
“I risultati di questo studio”– affermano dal team di ricerca- ” sono strabilianti perché ci hanno permesso di mettere in evidenza due concetti fondamentali: il primo già noto e confermato in chiave di prevenzione, perché la stimolazione del sistema immunitario ci rende molto più forti e quindi meno vulnerabili al contagio; il secondo in chiave di cura, perché abbiamo dimostrato che rispetto ai tempi medi di guarigione che arrivano anche a 30, 32 giorni, i pazienti ai quali viene somministrata anche la lattoferrina si negativizzano dopo 12 giorni.”
Una dichiarazione, quest’ultima, resa pubblica la scorsa primavera ma fatta circolare a più riprese dalle agenzie di stampa solo recentemente, cosa che ha permesso alla lattoferrina di imboccare una strada in discesa verso il boom di richieste da parte dei clienti, convinti di aver trovato l’antidoto al virus ed ignari di avere a che fare con un semplice integratore che almeno per il momento di miracoloso nei confronti del Covid non ha proprio nulla. Come precisato anche dal pool di scienziati di Tor Vergata, infatti, i risultati della ricerca sono ancora preliminari ed andranno approfonditi nei prossimi mesi dato che lo studio si trova ancora nella sua fase embrionale e se da un lato risulta sempre soddisfacente poter diffondere notizie speranzose, dall’altro va anche considerato che in campo scientifico non basta considerare una manciata di valori positivi per far gridare immediatamente al miracolo.
Al di là della possibile speculazione, tuttavia, va messo comunque agli atti il dato confortante relativo alla presunta attività antivirale, che aprirà sicuramente la strada a nuovi scenari futuri, mentre quello attuale vede la lattoferrina come un semplice integratore la cui assunzione non è dannosa ma che al momento può fungere solo da palliativo immunostimolante per fare da “scudo primario” nei confronti di un virus che verrà debellato al 100% solo dall’arrivo del vaccino.
Il 5 e 6 dicembre a Salerno, presso la sede di via Clark della Camera…
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