Le vie della ceramica vietrese

Dal paesaggio alla storia, da una terra alla sua gente. Oggi per gli Outdoorini è una passeggiata lungo le vie dei borghi vietresi che dagli scorci sul mare portano dritto alla sua arte più antica: la ceramica

La ceramica è un’arte antica. Un’arte che racconta la storia di un popolo attraverso i secoli, la storia dei suoi usi, del suo rapporto con la quotidianità, spingendosi talvolta oltre l’utilità per cercare la bellezza e diventare arte.

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L’arte della ceramica vietrese, che attraverseremo oggi, racconta di una bellezza impressa nei luoghi che l’hanno ispirata, quella delle terre delle maioliche e dei ciucciarielli, dei terrazzamenti coperti dai limoni e delle reti tirate dai gozzi dei pescatori, tra il mare della costiera amalfitana e gli zelanti Lattari alle loro spalle.

Con pochi km e un leggero dislivello, la nostra passeggiata sarà breve e poco faticosa ma incredibilmente intensa, grazie ai profumi della primavera che riempiono l’aria e le continue vedute che si aprono allo sguardo lungo il cammino, ora sul mare, ora sulla montagna.

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Muoviamo i primi passi dal borghetto di Benincasa, che non sfiora i 300 abitanti a 200 m sul livello di mare, e c’inerpichiamo lungo un sentiero in salita verso i Lattari, tra cespugli di more ancora in fiore, scarabei rilassati al sole e farfalle dalle ali grandi che svolazzano in nostra compagnia.

Ampi affacci sopra Salerno, sotto di noi, che con il braccio del suo porto sembra volere abbracciare il golfo, e poi su, con gli occhi al cielo puntando la vetta del Falerio; infine tra i vicoli dei borghi, fin dentro le case, a spiare tra le finestre il da farsi operoso e lieto della domenica mattina.

Ci accolgono Albori, la più piccola tra le frazioni di Vietri, che dal mare si scorge incastonata in un’insenatura che si proietta sulla costiera, e poi Raito, paese di scale con solo 2 strade, che affaccia direttamente sul mare e viene baciato tutto il giorno dal sole.

È proprio a Raito che nel 1929-’30 ci sono stati i primi ritrovamenti, purtroppo andati perduti, delle origini della produzione ceramica vietrese che sembra risalire ai Tirreni, popolazione che abitava le nostre terre ancor prima della nascita di Roma.

Rimane la testimonianza più antica di una mattonella del 1687, incastonata in un muro esterno del paese sotto un arco, accanto a un lampione e con dietro uno scorcio di mare, che raffigura la Madonna delle Grazie e i due Santi.

Siamo nel XVII secolo, il periodo a cui risalgono tutti gli oggetti legati al culto religioso, come le acquasantiere domestiche, le piastrelle maiolicate e le edicole votive, le stesse che troviamo oggi sparse nei vicoli dei borghi che attraversiamo e che in questa domenica di sole svelano a noi le loro strade e ci raccontano questa storia.

Dal greco kèramos che significa “argilla per stoviglie”, le prime produzioni di ceramica vietrese con documentazione certa riguardano utensili di uso domestico quali piatti, lancelle per la conservazione dell’acqua, brocche, boccali, bottiglie, piccoli vasetti per custodire droghe e spezie.

Il secolo è il XVI, anche se la produzione di ceramica aveva avuto inizio molto prima con la produzione di tegole e mattonelle, le cosidette “riggiole” ancora oggi caratteristiche vietresi, in un periodo in cui vi era grande richiesta da parte dei maestri fabbricatori di Cava de’ Tirreni, di cui Vietri era un casale.

Tra questo e il XVII secolo infatti la ceramica vietrese si arricchì delle prime decorazioni artistiche prescindendo dalla funzionalità degli oggetti, come testimoniano le mattonelle con santi e madonne che oggi scopriamo lungo il cammino e che potremo scoprire anche a Cava, a Salerno fino alla valle dell’Irno.

Sono le edicole votive, diffuse in tutta la costiera, testimonianza del sentimento religioso e insieme veri capolavori d’arte.

In queste piccole nicchie i devoti del posto facevano dipingere direttamente sul muro, oppure su apposite maioliche, l’immagine della Vergine o del Santo a cui volevano affidarsi, scrivendo in basso il proprio nome e il motivo dell’offerta. Le nicchie venivano poi curate insieme con gli abitanti dell’intero rione attraverso ceri e fiori che, oltre al sentimento religioso, in un’epoca in cui l’illuminazione pubblica non esisteva servivano anche ad illuminare gli angoli delle strada.

La luce delle edicole ardeva giorno e notte: orientava al buio, assisteva all’intrecciarsi e allo sciogliersi di voti, ascoltava le preghiere delle mogli dei pescatori in combutta con il mare, in un tempo in cui il ritorno a casa da una giornata di lavoro era già un miracolo.

Testimone di una cultura, la ceramica vietrese iniziava così ad andare oltre la funzionalità dei suoi oggetti e si affermava nella sua valenza espressiva. Dall’utilità all’arte.

La grande spinta a questo percorso che porta dalla ceramica alla più alta “arte della ceramica” e che porta noi dritto al suo museo e alle sue opere, all’interno di villa Guariglia qui a Raito, fu la presenza degli artisti stranieri nella prima metà del secolo scorso, che con la loro idea di “globalizzazione dell’arte”, espressero il desiderio e la necessità di un confronto artistico oltre confine.

E’ il cosiddetto Periodo Tedesco a cavallo tra le due guerre mondiali, quando una comunità di artisti stranieri proveniente soprattutto dalla Germania, sollecitati dalla vita libera che si respirava nella nostra terra, s’insediò in loco e, pur rispettando la tradizione ceramica locale, rinnovò gli stili artistici creando nuove forme e nuove decorazioni.

Nelle opere che troviamo oggi nel museo della ceramica traspare quella vita semplice dei nostri nonni nello scenario di natura del tempo che, agli occhi di chi aveva conosciuto gli ambienti multiculturali delle grandi città europee, doveva apparire forse deliziosamente “primitivo”.

L’elemento decorativo dell’esotico e del primitivo infatti riecheggia tra i tre piani del museo, insieme con elementi tratti dal floklore locale, che attinge da pescatori, barche, pastori, e con quelli tratti dalla tradizione fiabesca centro-europea.

La nostra passeggiata finisce così con il percorso museale che attraverso le tre sezioni poste in ordine cronologico e tematico – dagli oggetti devozionali a quelli di uso quotidiano, dalle riggiole  al periodo tedesco – raccontano in un tempo e in uno spazio minimo questa storia fino a i giorni nostri.

Nella ceramica di Vietri l’arte è un vissuto che non può prescindere dal territorio, e ogni pezzo, che sia un piatto da parete, un vaso, un pannello per il tavolo in giardino o una mattonella per il rivestimento del terrazzo, racconta di una visione, un ricordo, il desiderio di chi le crea.

Camminare lungo i borghi di Raito, Albori, Benincasa è passeggiare lungo la storia del popolo vietrese che attraverso la ceramica ha espresso sé stesso e il suo rapporto con il mare, con le sue fate e i suoi demoni.

Il viaggio storico della ceramica vietrese è l’impronta di una cultura nei luoghi della Divina.

 L’artista è un ricettacolo di emozioni che vengono da ogni luogo: dal cielo, dalla terra, da un pezzo di carta, da una forma di passaggio, da una tela di ragno.
(Pablo Picasso)

 

Redazione ZON

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