23 Novembre 2017 - 08:48

Il cammino dell’Avvocata tra sacro e profano

il cammino dell' Avvocata

Dalla badia benedettina di Cava de’ Tirreni alla vetta del monte Avvocata, gli Outdoorini intraprendono un pellegrinaggio non devozionale né penitenziale, ma un cammino profano alla ricerca del sacro

Ogni anno, il lunedì seguente alla Pentecoste, si svolge il pellegrinaggio al Santuario dedicato alla Madonna dell’Avvocata, ai piedi dell’omonimo monte, che culmina in una grande festa tra canti, balli e “tarallucci e vino”. Partendo da Cava, da Maiori, da Cetara o anche da Erchie, tutti i fedeli dalla costa prendono parte in quel giorno ad una celebrazione in cui la tradizione religiosa è strettamente legata a quella popolare.

Ciò che spinge i pellegrini di un giorno a salire fino a 827 m di altezza è vivere una tradizione cristiana in cui si celebra un rituale che avvicina al sacro e, in questo accostarsi, vivere intanto le profane gioie del palato e quelle della socializzazione, dell’aggregazione, della condivisione e dell’ilarità dell’evento.

Noi Outdoorini viviamo tutto questo ad ogni escursione e, ogni volta, riusciamo anche nella ricerca del sacro, senza alcuna sosta religiosa.

Zaino in spalla, partiamo dall’abbazia benedettina di Cava de Tirreni – ‘ncopp a Badia – un complesso monumentale a 400 m sotto il monte Finestra, fondata da un nobile salernitano nel Medioevo, periodo durante il quale fu uno dei centri religiosi e culturali più vivi e potenti dell’Italia Meridionale.

“Ora et labora”, sotto il monito di San Benedetto partiamo alla volta del nostro monte, facendo lavorare i piedi sul terreno argilloso e pregando che il tempo ci conceda la grazia di vedere lo scenario che troveremo in vetta.

Camminiamo sulle foglie umide e rossicce dove si nascondono castagne selvatiche e scarabei. Pochi i porcini per questo autunno, la pioggia si fa desiderare.

Sul percorso, le tappe della via crucis scandite da edicole votive in legno a forma di casetta con all’interno foto di volti anonimi che noi pensiamo siano deceduti durante il cammino. Che ci possano perdonare le immagini dei fedeli!

Costeggiamo la roccia lungo il sentiero che ci dà affacci sul golfo di Salerno, la piana del Sele con le sue serre che da quassù sembrano laghetti, Vietri sul mare e le sue frazioni e da lontano le cime del Cilento.

Dai boschi di leccio, carpini e aceri, camminiamo senza fretta verso i pascoli di alta montagna alternati alla macchia mediterranea.

Capo d’acqua, a 570 m per un primo spuntino e una “sciaquata” e appena 100 m di dislivello dopo siamo a Cappella vecchia, una piccola cappella in pietra costruita intorno all’anno 1000 che sorge su un’ampia radura dinanzi alla mole calcarea del monte Falerio.

Procediamo a mezza costa con a destra le creste erose dei monti del Demanio e a sinistra, 600 m in fondo al Vallone Grande, i borghi marinari di Cetara ed Erchie. Sono gli stessi scorci di un cammino che secoli fa vedeva su questi sentieri i passi dei benedettini.

Pianura, poi salita verso la sorgente di Acquafredda – detta anche “Scetate che è juorno” perché forse l’acqua fredda risveglia i sensi – e poi la prima sella della Croce verso le vene di san Pietro. Ora puntiamo direttamente alla vetta.

Senza più sentiero tracciato, andiamo “dritto per dritto” tagliando lo sperone roccioso dell’Avvocata. Grosse pietre bianche sulle quali si lasciano ammirare in bilico le capre della costiera. La salita è ripida e non scherza, ma, come sempre, arrivare in cima per noi è come l‘apparizione.

Da quassù la valle di Tramonti e Ravello sullo sfondo roccioso. In lontananza la torre di Chiunzi e le cime dei monti Lattari. Sotto, il mare della “divina” da Capo di Conca fino a punta Licosa.

Dall’alto dei nostri 1014 m., ammiriamo tutto il complesso del Santuario che si svela oltre la spianata tra rocce e cespugli.
Sorto nel 1485 grazie al sogno di un pastore di Maiori a cui apparve la Madonna con la richiesta di edificare un altare in quel luogo, il santuario vede oggi la devozione alla madonna Avvocata sempre più diffusa tra le gente della costiera.

La tradizione popolare narra di eventi straordinari, come lacrimazioni della statua, la liberazione di indemoniati e le guarigioni di ammalati ritenuti incurabili. Miracoli, che fanno parte di una sceneggiatura mistica in cui si mescolano “sacro e profano”, “divinità e folklore”.

Noi oggi rifiutiamo il dogma della fede e prediligiamo il “cammino”. Ogni nostra escursione rappresenta un pellegrinaggio verso noi stessi, al richiamo della divinità di Madre Natura.

Noi non facciamo sacrifici al posto di una grazia, o una penitenza in cambio di un favore divino. Noi non portiamo oggetti votivi per impetrare un atto salvifico. Il baratto lo facciamo solo con i luoghi a cui diamo la nostra presenza in cambio di una liberazione dallo stress e di una redenzione dai mali della solitudine.

Noi cerchiamo il sacro in questi luoghi, con o senza santuari. Né laici né religiosi, siamo dei “panteisti”.

Fare escursione è come peregrinare: il nostro cammino è ogni volta rito, cerimonia, preghiera, festa, contemplazione, agire affettivo capace di coinvolgere i sentimenti e di sollevare dalle sofferenze.

Camminare è una fenomenologia sociale che coinvolge persone e crea legami.

La nostra è una rivoluzione spirituale.

 

Costeggiando il Tirreno, eccelso monte
Fra cento colli insuperbir si vede,
Ch’altri, lontano a riguardarlo, crede
Che tocchi il ciel con l’elevata fronte.
Quivi Maria, da l’inesausto fonte
Delle grazie, che largo il ciel concede,
sparge i nembi ai fedeli, a la mercede
Le mani ha sempre infaticate e pronte.
Corre veloce il peregrin da lunge
L’alpestre giogo a superar col passo,
Ove l’occhio medesmo a pena giunge.
Perché se ‘l monte appo le stelle è basso,
La bassezza del monte al ciel congiunge
l’Avvocata del Mondo in cima al sasso.”

Tommaso Gaudiosi, 1671 – Il Monte Avvocata –

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