“L’eroe”, opera prima di Cristiano Anania in sala dal 21 Marzo 2019 con Mescalito Film, si apre su una folla festante in attesa di incensare l’uomo del momento: Giorgio Pollini, giornalista di provincia che ha visto incredibilmente risalire le sue quotazioni dopo aver risolto, praticamente da solo, il caso di scomparsa di un bambino in un paese della provincia italiana.
Potremmo dunque considerare il resto del film come un lungo flashback, la parabola ascendente di un uomo che, dal suo momento di massima crisi, tenta di risalire la china, ad ogni costo.
I ritmi fin troppo dilatati, rendono il film altamente prevedibile: tanto che, dopo solo mezz’ora di pellicola, il toto-colpevoli si riduce a due sole persone: la nonna del piccolo Carlo, che potrebbe aver organizzato tutto per rientrare dai debiti contratti con la sua azienda vinicola, e lo stesso giornalista che con questo scoop può finalmente rilanciare la sua carriera.
Ad interpretare i due personaggi principali del film abbiamo da un lato lo charme di Cristina Donadio, dall’altra Salvatore Esposito che questa volta ha nascosto la cattiveria da boss delle serie tv sotto degli occhiali che poco dissimulano la paura di essere continuamente colto in fallo del suo personaggio, e un’andatura pesante.
Comprimari dei due interpreti principali sono Marta Gastini e Vincenzo Nemolato, nei panni di due ragazzi di paese che loro malgrado si troveranno coinvolti nel caso che ha scosso la loro intera comunità.
“L’eroe” non è certo il primo film che prende le mosse da una scomparsa ma, in ogni caso, la pellicola di Anania mostra delle differenze rispetto al “genere”: la prima, tra tutte, riguarda proprio il piccolo Carlo.
La cinepresa, infatti, sceglie di farcelo vedere anche durante la sua prigionia in poche ma evocative inquadrature; a differenza di altri film dove, invece, la persona scomparsa diventa al più una fotografia impolverata e senza storia nell’ufficio di un commissario di Polizia.
E questo è tanto più vero e incisivo se pensiamo che nel film, tutta la risoluzione del caso è affidata alla pregnanza amplificativa del quarto potere; gli organi preposti alla giustizia stanno sempre un passo indietro: i processi si fanno al più sui giornali, in radio ed in televisione. Ed è in questo che “L’Eroe” dimostra di essere cinicamente sul pezzo.
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