18 Luglio 2020 - 08:00

Little Fires Everywhere: l’America e le sue ipocrisie

Little Fires Everywhere

In Little Fires Everywhere, nuova serie Prime Video, c’è il racconto perfetto dell’America attuale. Vissuta attraverso due protagoniste agli antipodi

Pensate a come, negli ultimi anni, sempre più romanzi abbiano attirato le mire di chi lavora nel campo delle serie TV. Pensate anche a come, sempre più spesso, i prodotti che derivano proprio da questi romanzi siano allegorie, sfaccettature di una realtà che è molto più oscura di quanto appare. Little Fires Everywhere è solo l’ultimo ad essere stato sfornato. Prima c’erano stati Sharp Objects, Watchmen, The Outsider, True Detective, Big Little Lies. Prodotti diversissimi tra loro, ma che hanno in comune una cosa: la riflessione socio/politica.

Non è difficile, infatti, capire subito che dietro ogni singola trama di queste serie TV ci sia ben altro che una semplice storia. Vi è il racconto di un Paese diffidente, pieno di pregiudizi, politicamente e moralmente allo sfascio più totale, di una borghesia auto-lesionista che si ferisce da sola accusando però gli altri. Se nelle altre serie questo sottotesto era stato ben nascosto (ma nemmeno troppo) da storie e trame intriganti che spesso avevano preso il sopravvento, ciò non è accaduto in Little Fires Everywhere. Una storia davvero semplice, ma incredibilmente d’effetto.

Liz Tigelaar, creatrice della serie, ha saputo sfruttare ottimamente il materiale a disposizione per creare un racconto completamente al femminile di un’America divisa. Non è difficile cogliere l’allegoria con gli USA odierni “trumpiani”, ma la cosa interessante è che la serie racconta perfettamente da dove proviene il mondo attuale. Un’origine che è da ricercare negli anni ’90. Ma andiamo con ordine.

Due madri a confronto

La storia di Little Fires Everywhere si apre con un flashforward. La camera stringe sullo sguardo di Elena Richardson (Reese Witherspoon). Sguardo che resta attonito e sgomento nel guardare la propria casa che brucia. Una casa simbolo di ricchezza, di prosperità, di una serenità famigliare costantemente ostentata e di un marito, Bill (Joshua Jackson) e di quattro figli, Lexie (Jade Pettyjohn), Trip (Jordan Elsass), Izzy (Megan Stott) e Moody (Gavin Lewis). Serenità andata progressivamente a svanire a partire dall’apparizione di Mia Wright (Kerry Washington).

Quest’ultima è un’artista abituata a viaggiare da sempre, che arriva a Shaker Heights con sua figlia Pearl (Lexi Underwood). Ad accoglierle e prenderle sotto la propria ala protettiva è proprio Elena, che permette alle due nuove arrivate di affittare una casa di proprietà della sua famiglia a un prezzo agevolato e inizia a interessarsi della loro situazione.

Da qui comincia una storia fatta di segreti, di una rivalità tra madri, di nature artistiche e di identità adolescenziali che, pian piano, determineranno l’esplosione di questo microcosmo.

L’identità della famiglia

Little Fires Everywhere, come esplica per l’appunto lo stesso titolo, è una serie costituita da tanti piccoli fuochi, che divampano pian piano nella serie finendo poi per bruciare tutto. Liz Tigelaar porta in scena un vero e proprio dramma che spacca di fatto a metà l’America e ne smaschera le ipocrisie. Da un lato vi è il finto perbenismo, nascosto da una maschera di eguaglianza, che però progressivamente andrà a crollare. Dall’altro vi è il difficile rapporto tra madri e figlie, affrontato in modo molto più complesso rispetto a qualsiasi altra serie.

Molto interessante è lo sviluppo della serie stessa. Se inizialmente ci troviamo di fronte ad una situazione di mistero, man mano che le puntate scorrono, Little Fires Everywhere cambia pelle. E così evidenzia una profonda mancanza di solidarietà femminile, messa in atto da due attrici davvero formidabili. Reese Witherspoon è ottima nel portare in scena una donna e madre dal carattere determinato, ma talvolta inetta. D’altro canto, anche Kerri Washington riesce a donare al suo personaggio quel tocco di emancipazione e frustrazione che divide completamente le due famiglie e che le differenzia.

Bravissimi anche i giovani protagonisti, soprattutto Lexi Underwood, che esprime tutta la spensieratezza di un’adolescente, e Megan Stott, che riesce a trasmettere tutta la sua frustrazione, disperazione e tristezza con una performance in grado di distinguersi e tenere testa alle due star. La regia ci permette di apprezzare al meglio ogni loro espressione, di godere dell’arte di Mia e la fotografia porta sul piccolo schermo le luci e le ombre dell’Ohio che fanno da cornice alla vicenda.

Perfetta anche la storia, che ha il pregio di tenere alta la tensione e immergere lo spettatore in un mood man mano sempre più asfissiante.

La scrittura e la mancanza di coerenza

Se la confezione è sicuramente pregevole, Little Fires Everywhere trova uno dei suoi punti deboli proprio laddove necessita, ovvero nella sceneggiatura. I dialoghi, purtroppo, risultano poco scorrevoli per un dramma così “acceso”, inficiando negativamente anche nella costruzione dei personaggi e nella sospensione di alcuni di essi.

Infatti, la gestione di Joshua Jackson risulta stucchevole, insensata, costipata solamente a qualche dialogo da “padre di famiglia”. L’attore, pur offrendo la sua bravura, viene limitato da una parte troppo piccola per le sue doti, lasciando il suo talento effettivamente sprecato. Anche Rosemarie DeWitt risulta purtroppo in ombra, e probabilmente con le sue doti recitative avrebbe ulteriormente alzato il livello qualitativo della serie.

Anche la gestione dell’ultima puntata non sembra poi funzionare granché bene. Il cambio di rotta improvviso avrebbe dovuto essere gestito in maniera più graduale e meno repentina. Il tutto, però, pone allo spettatore una riflessione: ci potrebbe essere una seconda stagione che darebbe senso anche ad una chiusura “parziale” della storia. Ma per ora è tutto da vedere, e Little Fires Everywhere resta con troppi fuochi accesi.