13 Novembre 2020 - 23:21

Perché i politici di oggi dovrebbero guardare The West Wing

the west wing

La politica vista nelle serie TV molto spesso è spietata. Ma The West Wing racconta anche un’altra faccia della politica: quella ideale, quella giusta, quella di cui andremmo fieri

Crisi costituzionali, vuoti politici, repulsione verso la classe dirigente. Il 2020 è indubbiamente l’anno della pandemia globale. Lockdown e Covid saranno le parole che, un po’ tutti, ricorderanno fra trent’anni, a ricordare questo annus horribilis. Tuttavia il Coronavirus ha fatto emergere, non solo in Italia, non solo in Occidente, la profonda crisi della politica, così come la conosciamo oggi.

È il 1999 ed Aaron Sorkin, un giovane sceneggiatore che muove i primi passi ad Hollywood, idea The West Wing, drama ambientato nell’Ala Ovest della Casa Bianca. Presidente è Josiah Bartlet, un democratico già Nobel per l’economia, una passione per la storia e le freddure, interpretato da uno straordinario Martin Sheen. Sorkin porterà avanti la serie per 4 stagioni, per poi lasciare il progetto in altre mani. The West Wing si concluderà poi nel 2006, raccogliendo oltre 20 Emmy Awards. La serie TV ripercorre le attività dell’amministrazione democratica, dal lavoro dello staff presidenziale, alle gesta del comandante in capo.

La grandezza dello sceneggiatore statunitense risiede nel conferire estrema duttilità alla serie, capace di poter procedere contestualmente ai fatti di attualità di quegli anni. La crisi in Medio Oriente, le sottese ostilità con la Russia, persino l’11 Settembre. Ebbene Sorkin dipinge un quadro dello scenario politico americano con una certa dose di idealismo, senza mai però smussare le numerose e dure contraddizioni a stelle e strisce. Ma dove risiede, specificamente, questo idealismo, a tratti molto evidenziato?

Nelle scelte, nelle parole, nei gesti, e quindi nei fatti di uomini e donne della politica statunitense. Cosa straordinaria: non accade solo tra le fila del Partito Democratico. È l’episodio 149, il 17esimo della settima ed ultima stagione. Il candidato repubblicano alla Casa Bianca è sconfitto dal democratico Santos. I suoi più stretti collaboratori lo invitano a fare ricorso, procedendo al riconteggio (anche in Nevada, come avvenuto nella sfida Trump-Biden). Lapidaria la risposta di Arnie Vinick, lo sconfitto repubblicani, un monumentale Alan Alda che verrà premiato con un Emmy quell’anno (2006):

“Io sarò il vincitore o sarò lo sconfitto. Non contesterò il voto degli americani. Chiamate il presidente eletto al telefono, voglio congratularmi.”

Una vicenda non tanto lontana da quella verificatasi, ma solo nel risultato, negli Stati Uniti, dove l’ormai ex presidente Donald Trump ha ingaggiato una guerra contro il President-Elect, Joe Biden, a colpi di ricorsi e tweet al vetriolo. Tra Arnie Vinick e il tycoon newyorkese si profila un abisso di differenze, tra condotta etica e morale, tra intelligenza squisitamente politica e quella frutto di studio ed apertura al mondo. Arnie Vinick, lo stesso che ha rifiutato – nella serie TV – di appropriarsi della valigetta personale del suo sfidante alla White House. Una questione di stile? O più semplicemente di approccio alla vita? I commenti sulla serie sono andati in trend proprio nelle ultime settimane, e la domanda degli americani è sempre la stessa: perché i repubblicani di oggi non sono come quelli di The West Wing?

Ma perché dovrebbero essere solo i politici d’oltreoceano che, armati di pazienza, dovrebbero recuperare ben sette stagioni di una serie ormai terminata 15 anni fa? Perché non possono essere i politici italiani a comprendere la totale estensione della responsabilità che un ruolo politico determina? 

È la classica conferenza stampa (senza stampa) del Presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca. Ogni venerdì ragguaglia i campani sulla situazione epidemiologica contingente. Ogni venerdì ne ha per tutti. Senza distinzione.

“Hanno intervistato una mamma che dice che sua figlia piange per andare a scuola. È l’unica in Italia che piange perché non può studiare endecasillabi, forse l’unica al mondo. La mamma le dà il latte al plutonio.”

L’Italia è il paese europeo che più di tutti ha visto i segni del Covid-19 sul proprio territorio nazionale. Migliaia di morti, il sistema sanitario nazionale al collasso, crisi delle istituzioni. Paura generale. In un momento storico in cui le istituzioni sono l’unico faro per un intero Paese, per le comunità, vi è lo spazio – nemmeno residuale – per denigrare una donna, una madre. La stessa donna che forse, qualche mese prima, potrebbe aver votato lo stesso De Luca alla tornata elettorale regionale. C’è un compito che il presidente di una nazione, o di una regione, grande o piccola che sia, a cui deve assolvere in un momento così complesso, così devastante e straordinario. Deve proteggere. E deve ispirare.

La compatezza di un popolo è determinante ai fini di qualunque risultato voglia essere raggiunto. Non potrà mai esserci lo spazio per offendere – in modo totalmente gratuito – chi ha un pensiero che può risultare difforme da quello della guida politica. Si controbatte nel merito, con i fatti, e con un vocabolario che si addice ad un’istituzione. Esistono gli avversari, nel concreto senso del termine, nella politica. Esistono uomini e donne che avranno diversi modi di manifestare il dissenso rispetto ad una leadership, ma questo non può e non deve svilire quel ruolo. Mai.

Se nel primo caso abbiamo citato un repubblicano, in quest’ultimo preferiamo riprendere alcune parole dal fronte democratico con il presidente Josiah Bartlet:

“Io sono il presidente degli Stati Uniti d’America. Non il Presidente delle persone che sono d’accordo con me. E a proposito, se la sinistra ha un problema con questo, dovrebbe votare per qualcun altro.

Uno degli aspetti più evidenti dei politici degli ultimi decenni è la loro incrollabile capacità di non chiedere scusa, nemmeno quando l’errore – o gli errori – sono evidenti, quando l’opinione pubblica ha già preso posizione. Concorsi truccati, favoritismi nelle pubbliche amministrazioni, a volte semplici errori di sottovalutazione dei problemi – vedasi nella gestione dell’emergenza Coronavirus. Eppure le risposte date dai politici nostrani sono sempre le stesse, continuamente: “Attendiamo l’esito della magistratura, che farà il suo corso.” Oppure l’evergreen: Non ne ero a conoscenza” – tornato di moda con il Presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, sul caso del bando per la fornitura di camici destinati all’emergenza sanitaria Covid-19. Non c’è mai stato un chiaro, fermo ed inequivocabile: “Ho sbagliato“. Nell’epoca in cui le personalità del mondo della politica sempre di più amano farsi conoscere anche nella sfera privata, rendendosi molto più “vicini” ed “umani” all’elettorato, non è stato ancora compreso che la fallibilità è connaturata nell’essere umano, che i politici non possono sentirsene esclusi. Perché non permettere ai cittadini di far capire che è possibile sbagliare? Perché illuderli? Perché prenderli in giro?

Ancora una volta The West Wing viene in soccorso. Il Presidente Bartler fa ammissione di colpa per aver omesso alla nazione la sua sclerosi multipla. Che qualcuno prenda appunti:

“Ci agitiamo, offuschiamo, razionalizziamo. Lo fanno tutti, questo è quello che diciamo. Quindi arriviamo a occupare un rifugio morale dove tutti sono da incolpare, quindi nessuno è colpevole. È colpa mia. Mi sbagliavo”

Ispirare vuole dire questo: avere il coraggio e la determinazione di non mostrarsi infallibile. Di essere credibile. Di essere al di sopra delle parti, ma tra le parti. È ancora complesso poter affermare che il nuovo millennio abbia portato con sé una fase di crisi del mondo democratico. Ma un dato è certo: gli uomini e le donne di questa terra, con gli anni, si stanno disinnamorando del senso più alto del termine “politica”.

Perché? 

Perché la classe dirigente ha smesso di preoccuparsi dei reali problemi del paese, preoccupandosi maggiormente di mostrarsi in un determinato modo, alla perenne ricorsa del consenso elettorale, dimenticandosi una realtà contingente che, nel frattempo, si frantuma in mille pezzi così diversi, così distanti. Perché gli esempi al comando sono – il più delle volte – cattivi esempi. Perché per individuare uomini e donne che sappiano ispirare un popolo veniamo ricondotti a personaggi fittizi.

Allora che questi “politici” imparino. Che imparino a sbagliare, imparino a governare, a rendere fieri i propri elettori. Che li guidino. Che li ispirino. Che guardino The West Wing e che, soprattutto, percepiscano la banale ma quanto mai evidente differenza tra quel mondo, e il “loro”.