17 Febbraio 2016 - 15:33

Perfetti sconosciuti, la commedia dai duelli a colpi di smartphone

Perfetti sconosciuti

Perfetti sconosciuti, la commedia brillante di Paolo Genovese, nelle sale dall’11 febbraio, è campione di incassi e si presenta come lo specchio della nostra società, nell’era degli smartphone

[ads1]Immediata la reazione post proiezione che innesca Perfetti Sconosciuti, ultimo successo di pubblico e di critica di Paolo Genovese, ossia la richiesta di poter “sbirciare” senza remore alcuno, i meandri più oscuri dello Smartphone del proprio partner.

Tutto bene, se la risposta è positiva e se non si hanno troppi scheletri nell’armadio, ma se così non fosse? Se si “giocasse” a mettersi a nudo, per una sola serata, a cospetto di quella che crediamo la persona della vita e a quelli che riteniamo gli amici di sempre, cosa succederebbe?

Su questo interrogativo, si svolge l’intera pellicola di Genovese, sapiente esperimento umano e sociologico che vuole esplorare la cosiddetta società del “così vicini, così lontani” dimostrando quanto la tecnologia sia sempre più fautrice di alienazione desolante.

Una comitiva di vecchia data, si riunisce a casa della coppia sposata, di mezza età, Rocco (Marco Giallini) ed Eva (Kasia Smutniak) , in occasione dell’eclissi lunare, (forzato rimando ad Antonioni) durante una tranquilla serata d’Estate.

La tensione emotiva è bassa, si respira un clima di serenità e di festa, Rocco ed Eva hanno terminato di imbandire la tavola, Cosimo (Edoardo Leo) e Bianca (Alba Rohrwacher) , freschi sposini hanno anche portato un bianco da ben 25 euro e non intendono mascherarne il prezzo, mentre Lele (Valerio Mastrandrea) fa cenno a sua moglie Carlotta (Anna Foglietta) , di non esagerare con il vino.

L’inquadratura ad uccello isola l’appartamento di Rocco ed Eva, entro la cornice di un elegante quartiere borghese della Roma agiata, a due passi dal Tevere e si presenta come unico caso di esterno, poiché l’intero film è girato entro il ristretto spazio della sala da pranzo dei coniugi.

perfetti sconosciuti

dal film Perfetti sconosciuti

Gli apparenti equilibri vengono rotti da un gioco, proposto dalla stessa Eva che consiste nel riporre in bella vista sul tavolo, i cellulari e quindi rendere pubblici per tutta la durata della cena, sms, mail, telefonate e Wathsapp. Dopo un’iniziale titubanza, i commensali accettano.

Quello che doveva essere un diversivo contro la routine delle solite cene tra amici, si trasforma in un sadico meccanismo di outing: vengono fuori uno ad uno, i segreti più impensabili dei protagonisti, quasi come conseguenza naturale dell’atto di rimettere il proprio cellulare alla mercé di tutti, denotazione dell’abbattimento di qualsivoglia barriera privatistica ed intimista dei personaggi, proprio perché come dice Rocco:

“In queste scatole nere, ci abbiamo messo tutto di noi”.

Un cast esiguo, composto da soli 6 attori, ma non per questo meno importante, capeggiato da un rassicurante ed equilibrato Marco Giallini che interpreta il chirurgo Rocco, padre affettuoso e marito di un’annoiata e quindi convincente Eva (Kasia Smutniak) e da un eccellente Valerio Mastrandrea, nel ruolo di Lele, marito di Carlotta, una buona Anna Foglietta che però ricorda troppo la caratterizzazione del personaggio assunta in Tutta colpa di Freud (Genovese, 2014).
Stupisce Edoardo Leo che inizia a dare spessore ai ruoli che gli vengono assegnati, imponendosi con una certa autonomia sul panorama attoriale attuale, mentre si distingue con sorpresa un umoristico Giuseppe Battiston, nei panni del sarcastico e timido Beppe. Non troppe pretese per Alba Rohrwacher, inguaribile romantica ed ingenua mogliettina che però si pronuncia in sequenze drammatiche, dando il meglio di sé.

Perfetti sconosciuti è una commedia amara, a tratti goliardica che eleva lo Smartphone, quale antagonista indiscusso della narrazione e vuole arrogarsi il diritto a essere il miglior prodotto di Genovese che tra l’altro, viene a consacrarsi come maestro della psycho-comedy.

Il finale è sorprendente, poiché il regista risolve lo scatafascio emozionale che un semplice aggeggio elettronico (e infernale) ha provocato, con l’espediente dell’ipocrisia, insegnando che una buona dose giornaliera di perbenismo aiuta a sopravvivere nel cocente limbo del 2.0.

E così, il gioco resta solo quello del “Se fosse” e tutti in sala possono tirare un sospiro di sollievo, o quasi.

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