8 Giugno 2020 - 15:34

Elezioni USA: repubblicani in rivolta nel segno di George Floyd

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Per le elezioni USA, molteplici personalità repubblicane scaricano Donald Trump per l’episodio di George Floyd. Da Bush a Romney, tutti contro il tycoon

L’America in rivolta. Giunti ad oggi, sembra di essere tornati negli anni ’60. A quando il reverendo Martin Luther King Jr. si accingeva a pronunciare al Lincoln Memorial il suo più celebre discorso, “I Have A Dream“. Ebbene, ora tutte le strade, non solo degli Stati Uniti, ma di tutto il mondo, si stanno riunendo pacificamente sotto un’unica bandiera. Cioè quella legata a George Floyd. E proprio la morte dell’afroamericano ha scatenato una tempesta nei confronti di Donald Trump, in fase di declino assoluto in vista delle elezioni USA.

Come se non bastasse, oltre ai sondaggi nelle elezioni USA che lo danno di ben dieci punti sotto al rivale per la presidenza, Joe Biden, il tycoon è riuscito a farsi dei nemici interni. E non dei nemici qualunque, ma personalità illustri del mondo conservatore, quali George W. Bush e il suo ex segretario di Stato, Colin Powell. Per loro, Donald Trump è diventato una vera e propria minaccia per la salvaguardia dello stesso Stato. Un pericolo per la democrazia della stessa America. Un uomo che ha dimostrato la propria inadeguatezza politica sia nell’emergenza Coronavirus che nell’episodio che ha portato alla morte dell’afroamericano.

Inutile dire come Trump si sia difeso a suo modo, non ammettendo alcuna scusa per due casi gestiti in maniera assolutamente orrida, ma anzi puntando il dito nei confronti dei repubblicani rivali. Un vero e proprio uno contro tutti, a questo punto, che non fa altro che peggiorare la situazione elettorale del capo dello Stato, già costretto a rincorrere l’avversario perché sotto di ben 10 punti. Le elezioni sono imminenti, e potrebbero seriamente segnare la fine della parabola (discendente) politica dell’imprenditore americano.

Come se non bastasse, però, il presidente deve fronteggiare un’altra minaccia: quella proveniente dall’ONU.

Trump e i diritti umani: due strade parallele

Non è un mistero che l’ONU in persona abbia deciso di agire dopo l’episodio legato alla morte di George Floyd. E qui sono siti i maggiori pericoli per Donald Trump. Perché un conto è perdere le elezioni e non rischiare nulla dal punto di vista personale, un altro invece è inimicarsi un’istituzione globale, potente anche dal punto di vista politico, che tutela i diritti umani e che non ha bandiere di partito. Del resto, sembra una prerogativa della destra mondiale. Il presidente degli Stati Uniti, con i suoi tweet, non ha certo migliorato il clima.

Anzi, scagliandosi a piena forza nei confronti dei manifestanti, minacciando una maggiore violenza dello Stato, non fa altro che inasprire il confronto e portarlo ad un livello ancora superiore. E naturalmente questa situazione non fa assolutamente bene alla situazione sociale di un’America già dilaniata periodicamente da conflitti razziali e di classe. Ma, soprattutto, dal punto di vista politico, non gioca a favore dello stesso Trump in vista di quello che è l’appuntamento principale del 2020: le elezioni.

Se già i sondaggi hanno inflitto una bella “mazzata” al presidente degli USA, peggio hanno fatto gli ultimi accadimenti, che hanno evidenziato la mancanza assoluta di una leadership concreta e affidabile e hanno contribuito ad evidenziare la netta “cleavage” creata dalla stessa presidenza del tycoon. Uno spartiacque netto che ora il repubblicano rischia di pagare caro, in quanto non saranno certamente i voti dei suprematisti bianchi a salvargli la pelle. Tutt’altro. In un Paese che va praticamente a trazione multi-razziale e i numeri di popolazione bianca e nera sono perfettamente uguali, non è difficile credere che inimicarsi buona fetta della popolazione bianca, quella scesa in piazza a protestare in favore di George Floyd, equivale praticamente a sconfitta certa.

E, dall’altra parte, c’è già Joe Biden che ride sotto i baffi.