20 Gennaio 2016 - 13:05

Revenant, la vendetta spetta a Di Caprio

Revenant, la vendetta spetta a Di Caprio

Revenant è una pellicola molto suggestiva e poco commerciale che sfrutta la deriva introspettiva del personaggio “Leonardo Di Caprio”

[ads1]Fuori dal luogo comune e immerso all’interno di un mondo ormai smarrito. Revenant, l’ultimo film di Alejandro Inarritu, ci propone una visione atipica del continente Americano. Il tutto si concentra all’interno di scene paesaggistiche che offrono una visione quasi epica degli Stati Uniti in netta contrapposizione coi palazzi di Mannhattan o i deserti del Texas. Un film che procede lento nel suo scorrere, una sceneggiatura povera e dismessa che mette in risalto tutta la spettacolarità della fotografia firmata Emmanuel Lubezki.

Il regista tende a calcare troppo la mano sull’aspetto spirituale che seppur importante non merita una così marcata accentuazione. Il concetto di americanizzazione è sospeso in un limbo in cui fazioni contrapposte non riescono a prevalersi. L’ideologia romantica la si può leggere nell’intercalare scenico che spesso riprende sezioni di cielo americano, quando la luce del giorno si spegne e l’oscurità fa scivolare il suo drappo di stelle ricordandoci quante poche volte, seppur guardando in alto, la volta celeste è velata dietro lo scintillio di lampade e grattaceli.

Revenant, la vendetta spetta a Di CaprioLa vendetta, tema principale sul quale evolve la trama, è aleatoria e mistica, l’impressione principale è che si perda all’interno dei meandri di quella sterminata terra di mezzo in cui lo scopo principale resta quello della sopravvivenza.

Il protagonista, Leonardo Di Caprio, è notevole nell’interpretazione. Il suo ruolo ha l’onere e la responsabilità di farsi carico della tenacia e della testardaggine del Padre Pellegrino, del sacrificio immenso di essere parte integrante di un mondo distrutto, conquistato e sottratto agli indiani con la guerra e soprattutto col sangue. Il sangue è un filo conduttore che accompagna tutta la pellicola quasi a voler sottolineare il fatto che quella terra è stata strappata ai popoli indigeni come una crosticina non sanata.

L’antagonista, Ton Hardy, incarna invece l’amoralità votata alla pecunia. Il tutto si deve inscrivere all’interno di un processo di redenzione che peró non arriva.

La morale è che nessunno sembra essere esentato dalla giustizia, nemmeno gl’indiani, su tutti i personaggi pesa un grave fardello e cioè, di aver deturpato, chi corrompendo e chi lasciandosi corrompere, uno spettacolo naturale che il regista non dimentica mai di mostrarci.

Per finire una chiosa sugli Oscar. Di Caprio questa volta non sembra avere rivali importanti nella corsa alla statuetta. Effetti speciali, sceneggiatura e costumi lasciano molto a desiderare. La fotografia invece merita senza dubbio i favori della critica. [ads2]