Ridley Scott, tutti gli stili registici dell’elegante sir inglese
Ridley Scott è a tutti gli effetti definibile come il regista delle suggestioni e non solo per il colpo d’occhio offerto dai suoi famosissimi effetti speciali, ma soprattutto per la minuziosa ossessione di inscatolare la realtà in un frame senza tempo
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L’elegante e raffinato Sir Ridley Scott nasce in una cittadina della contea del Tyne and Wear quasi 80 anni fa, esattamente il 30 novembre del 1937 e già nei primi anni dell’adolescenza si approccia al multiforme mondo delle immagini grazie al Royal College of Art, dove studia fotografia.
La lezione appressa presso l’istituto che lui stesso contribuirà a convertire nel corso degli anni 60’ in un dipartimento cinematografico, la mette subito in pratica vestendo i panni prima di scenografo e poi di regista per alcuni telefilm prodotti per la BBC.
Il 1977 è l’anno della consacrazione e per certi versi del passaggio al grande schermo, poiché dirige la sua primissima pellicola I duellanti, ben accolta al Festival di Cannes. La giuria decide infatti di attribuirgli lo speciale premio per la regia. Una sorta di battesimo cinematografico se si pensa che a Cannes in quegli anni a capo delle giurie vie era il celebre Roberto Rossellini.
Negli anni a seguire, ottenuto il lasciapassare dei grandi del cinema, sforna a raffica prima Alien (1979) e poi Blade Runner (1982) conquistando anche il successo di pubblico. Questi due titoli contribuiranno a riempire le migliori pagine dei manuali di storia del cinema perché per la potenza narrativa, la scelta delle ambientazioni e il carattere dei personaggi, entrambi i film saranno destinati a fare la differenza e rompere nettamente con un secolo di tradizione.
Non solo fantascienza nel campionario visivo di Scott, ma anche la commedia del brillante e ben strutturato Il genio della truffa, senza dimenticare lo spazio riservato al thriller o meglio al drama-thriller con Nessuna verità, film conturbante e da vedere e rivedere. Tra i colori dei registri filmici di Scott, spiccano il genere storico d’azione e il mafia movie, non meno il cinema da guerra che non sfiora mai lo splatter.
Impossibile non soffermarsi su quella che è forse la più importante traccia lasciata dal regista al cinema, Il Gladiatore (2000) passato alla memoria degli Academy Awards per l’incetta di premi raccolta, dal miglior protagonista a Russell Crowe alla miglior colonna sonora, senza dubbio il prodotto firmato Ridley Scott che ha maggiormente catturato il cuore degli spettatori e l’attenzione degli esperti.
Certo con il senno di poi, è uscito fuori ne Il Gladiatore qualche errore anacronistico e qualche disattenzione scenica, ma nulla di grave se rapportato ad un impianto narratologico senza pari e ad una spiccata propensione per il fermo immagine non solo effettivo, ma emozionale.
Il Gladiatore ha certamente inaugurato il lungo sodalizio Scott-Crowe e su questo argomento vale la pena di citare Robin Hood (2010), la storia delle storie raccontata con un accento di britannica realtà mista all’intramontabile leggenda legata all’arciere più famoso di tutti i tempi. In questa pellicola ritroviamo un Russell Crowe più maturo, non solo anagraficamente parlando, e uno Scott più consapevole che ha cercato a tutti i costi di non rimandare alle atmosfere già respirate ne Il Gladiatore e ci è riuscito.
La sfilza di nomi filmici messi a disposizione da Ridley Scott testimonia una grande propensione alla variazione di registro e questo non è segno di una mancanza di identità trovata, ma prefigura uno stato di impossibilità statica che è forse l’elemento più interessante del regista.
Tutti i volti di Scott, verrebbe da dire, ma sarebbe una terminologia non del tutto appropriata ad esprimere la grandezza di questa firma direttoriale e potrebbe innescare un vizioso meccanismo di non auto identificazione artistica.
Pertanto, un genuino ma ponderato “Buon compleanno Sir Ridley Scott, regista delle suggestioni” andrà più che bene e renderà giustizia ad un degno protagonista dell’era dei registi d’oro del cinema.
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