Era il 28 marzo del 1977 quando il semisconosciuto regista John Gilbert Avildsen vinse 3 statuette per il primo capitolo della saga del pugile italoamericano Rocky Balboa, interpretato dall’allora altrettanto sconosciuto Sylvester Stallone. A quasi quarant’anni da quella incredibile vittoria, ripercorriamo la storia di un film amato da almeno tre generazioni di appassionati e giunto quest’anno al suo settimo capitolo
[ads1] Quando, nel marzo del 1977,
John Gilbert Avildsen e
Sylvester Stallone vinsero
tre Premi Oscar a fronte delle nove nomination per i quali il loro film “
Rocky” era stato nominato, alcuni si indignarono, per quanto il primo capitolo della saga del
pugile italoamericano sarebbe poi divenuto uno dei film più popolari degli anni ’80 nonché una delle pellicole ad essere selezionate per l’inserimento nella biblioteca del Congresso degli Stati Uniti come film “culturalmente significativo”.
Avildsen e Stallone sul set di Rocky
Le voci fuori dal coro erano quelle di chi considerava
Avildsen e
Stallone rispettivamente come un regista ed un attore falliti, buoni al massimo per dirigere ed interpretare film erotici e/o pornografici, mai e poi mai meritevoli della
massima onorificenza cinematografica hollywoodiana. In effetti, tanto
Avildsen quanto
Stallone avevano nel cinema un passato piuttosto mediocre, con pochi e limitati ruoli nel cinema a luci rosse, con il primo che era conosciuto per i due film erotici “
Il Pornocchio” e “
Ore 10, lezioni di sesso” e il secondo famoso giusto per il porno-soft “
The Italian Stallion” e per “
Una squillo per l’ispettore Klute“. Invece, Rocky fu un successo straordinario, e ben presto anche le voci discordi
dovettero rassegnarsi al successo del film, che divenne poi uno dei
franchise miliardari di Hollywood ed ha appassionato tre generazioni di fans, arrivando a trasformare Stallone in uno dei più famosi attori degli ultimi quarant’anni e avviando Avildsen verso una dignitosa carriera, culminata con un’altra saga importante, quella di
Karate Kid. Quella di
Rocky è una storia triste, la storia di un ragazzo di origini italoamericane che ama la boxe ma che non è mai riuscito a sfondare. Il suo allenatore
Mickey Goldmill, tutti i giorni gli ricorda che è poco più che “una scamorza” e Rocky, per vivere, si è ridotto a fare l’esattore per un
boss della mala di Philadelphia. Un giorno, però, Rocky ha l’occasione di una vita: sfidare il campione del mondo dei pesi massimi
Apollo Creed, uno che decide di sfidare un pugile sconosciuto per celebrare il
bicentenario degli Stati Uniti d’America, il 4 luglio 1976, dopo che il suo diretto rivale si è infortunato in maniera inattesa.
Apollo trova il nome di Rocky su un almanacco e decide di sfidarlo mettendo in palio la sua cintura, nella fallace convinzione di poterlo battere facilmente, accrescendo così la sua già immensa fama. Ma a
Creed mal gliene incorre perché
Rocky, allenatosi duramente sotto la guida di
Mickey e sostenuto dall’amico
Paulie, che poi diventerà suo genero,
resiste contro Apollo per ben 14 riprese su 15, cadendo al tappeto solo alla penultima ripresa, eppure rialzandosi inaspettatamente.
Creed vince ai punti e resta campione, ma per
Rocky è l’inizio di una amicizia importante con Apollo. Questi ne diventerà presto l’allenatore e condurrà Rocky alla realizzazione sportiva e professionale aiutandolo a prendersi
quella cintura perduta solo in extremis, e a sostituire Apollo come
pugile più amato dagli americani. Rocky è dunque un film che
di sportivo ha soltanto il contorno, perché quella del pugile fallito è probabilmente una delle vite più difficili del mondo sportivo: spesso costretti a prendere pugni per minuti e minuti, vedendosi massacrati i volti per poco più di trenta dollari ad incontro, i boxeur che non sfondano sono l’esempio massimo della sventura di un essere umano. Un film, dunque, quello di
Rocky Balboa, che va visto e rivisto, soprattutto con la consapevolezza che gli stessi Avildsen e Stallone erano anch’essi terribilmente squattrinati ai tempi delle riprese di Rocky. Essi vinsero grazie alla sceneggiatura, scritta da Stallone stesso, dalla voglia di farcela e dall’amicizia che legò i due, e che spinse Avildsen a credere in
quel ragazzone italiano che voleva a tutti i costi vestire le vesti del pugile, entrando nel cinema dalla porta principale, dopo che era stato già scartato per il ruolo di
Michael Corleone nel Padrino parte prima. Tutto ciò consentì alla coppia di battere kolossal come Quarto Potere, Tutti gli uomini del Presidente e Taxi Driver, tutti superati alla premiazione del 1977 da quel Rocky, che resiste ancora oggi tra i 100 migliori film del cinema a stelle e strisce. [ads2]