26 Agosto 2018 - 14:18

Governo: Matteo Salvini e la “sfida alle toghe” berlusconiana

Matteo Salvini Rifiuti Roma-Berlino

Matteo Salvini, dopo essere stato indagato dalla procura di Agrigento, si difende attaccando le toghe. Molte le similitudini con Berlusconi

Matteo Salvini è a Pinzolo, in provincia di Trento. Nel bel mezzo di un comizio, ha appreso la notizia che è indagato per la vicenda della nave Diciotti dalla procura di Agrigento. E parte subito lo sberleffo nei confronti delle “toghe rosse”.

Questo comizio vale doppio. È il mio primo comizio da ministro indagato e intanto il Milan sta giocando a Napoli.” ha dichiarato Salvini, davanti a tutti.
Il Movimento 5 Stelle, da sempre giustizialista, lo ha invitato più volte alla cautela, mosso da uno spirito contraddittorio rispetto a quello leghista. Ma nulla, il ministro dell’Interno ha operato la mossa opposta. Non ha passato un solo giorno senza invitare i magistrati a indagarlo.

Addirittura, il dialogo si è poi fatto ancora più tagliente: “Se devono indagare, interrogare qualcuno, vengano direttamente dal ministro che è colui che ha dato indicazioni e disposizioni. Mi sembra meschino andare a prendersela con dei funzionari quando c’è un ministro e un vicepresidente del Consiglio che si fa carico pienamente della responsabilità di dire no quando bisogna dire no.

È incredibile, incredibile vivere in un Paese dove dieci giorni fa è crollato un ponte sotto il quale sono morte 43 persone. Lì non c’è un indagato. Invece indagano un ministro che salvaguardia la sicurezza di questo Paese. È una vergogna.” ha poi concluso il ministro.

Da un lato, c’è la piazza che acclama il suo nome, che acclama il ministro dell’Interno come fosse il nuovo presidente della Repubblica, il vate che tutti aspettavano. Dall’altro, però, c’è un precedente che dovrebbe far tremare l’Italia, e che la riporta indietro di oltre vent’anni. E quel precedente ha un nome e un cognome ben precisi. Sì, stiamo parlando proprio del Cavaliere: Silvio Berlusconi.

Il parallelismo tra Silvio e Matteo

Chi, leggendo le parole esposte dal ministro dell’Interno leghista, non ha pensato subito al suo ex alleato? Probabilmente è la cosa più lampante che possa venire in mente, a primo acchito. Il beneamato Matteo si è iscritto al registro degli indagati, entrando di fatto nella stessa spirale acclamata dal buon Silvio non molto tempo fa.

La lotta alle cosiddette “toghe rosse”, per anni, è stata oggetto della campagna elettorale denigratoria dello stesso Cavaliere, che ogni volta si sentiva attaccato e falcidiato dalla presenza dei magistrati. Magistrati che, nemmeno a dirlo, professavano tutti quanti un’unica fede: il comunismo.

Detto ciò, il modus operandi usato da Salvini è esattamente identico a quello usato dal suo predecessore conservatore. L’unico dettaglio non in comune è il tempo. Salvini, infatti, non gioca più sul presunto “colore” delle toghe, in quanto la politica è ormai diventata trasversale. Non esistono più destra e sinistra. Esistono, invece, movimenti che attingono dall’una e dall’altra parte, ponendosi al centro. E la Lega, per quanto se ne possa dire, è diventata ormai un movimento trasversale.

La posizione vacillante di Di Maio

In tutto questo, c’è anche una terza parte in causa, ovvero l’altra faccia della medaglia: il Movimento 5 Stelle. Per Luigi Di Maio, questa “chiamata” inattesa assume dei significati molto forti, che evidenzia e crea ulteriori problemi all’interno del cosiddetto “Governo Frankenstein”.

Luigi Di Maio è il leader del partito politico più giustizialista della storia d’Italia, che ha fatto della legalità la sua ragione d’essere. Per sua somma sfortuna il suo alleato di Governo, Matteo Salvini, è indagato. Qual è la beffa?

Tanto per cominciare, per procedere penalmente nei confronti di un ministro, cioé Salvini, deve essere chiesta l’autorizzazione del Senato (come tratto dall’articolo 96 della Costituzione).

In termini chiave, ciò si tramuta in due possibilità:
1) Se il Movimento 5 Stelle vota con le opposizioni e dà l’autorizzazione a procedere con le indagini, cade il Governo e si torna alle elezioni. E, stando agli ultimi sondaggi, non è proprio una bellissima notizia.
2) Se nega l’autorizzazione a procedere, il M5S nega uno dei suoi principi più importanti: il giustizialismo.

L’inizio del procedimento, inutile dirlo, dipende proprio dalla decisione del ministro pentastellato. Una spada di Damocle molto dura che pende sulla testa del Movimento, che lo stesso ministro sceglie di giocarsi male.

Secondo il codice etico che è contenuto nel nostro contratto di Governo, il ministro dell’Interno deve continuare a fare il ministro. Ma bisogna avere pieno rispetto per la magistratura. Il nostro dovere è attuare il programma elettorale.” ha dichiarato.

Il Governo gialloverde vacilla. Questa volta molto pesantemente.

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