10 Novembre 2015 - 11:00

Shirin Neshat tra le Donne senza uomini

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Donne senza uomini di Shirin Neshat è una nuova visione della donna, del cinema, dell’arte e della ribellione culturale

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Donne e uomini sono il contrappunto, il conflitto, la guerra.

L’artista iraniana Shirin Neshat ha un’idea precisa, culturalmente e politicamente consapevole, che s’iscrive nel suo sguardo da regista.

Donne senza uomini è il suo primo lungometraggio, Leone d’Oro al Festival di Venezia; colpisce per la nuova estetica, rivoluzionaria e complessa, rispetto al ‘fare’ cinema “comune” in Medio Oriente.

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Scena tratta da Donne senza uomini di Shirin Neshat

Il cinema di Shirin Neshat non si “esaurisce” nella proiezione sul grande schermo, o meglio su metri di celluloide.

Invade nuovi contesti in cui creare una certa sinergia con lo spettatore che diventa così fruitore-attore, attraverso un lavoro di sottrazione dal linguaggio cinematografico per arrivare al quadro, sotto forma d’installazione videoartistica. Ma andiamo con ordine.

Donne senza uomini non è un film da guardare, ma è un’immersione, una decodificazione di simboli, un percorso interiore nei silenzi delle donne, una catarsi politica e culturale nella ribellione di Munis (Shabnam Toloui).

Fakhri, una donna di mezza età intrappolata in un matrimonio senza amore, deve fare i conti con i sentimenti che prova nei confronti di una vecchia fiamma che, di ritorno dall’America, è rientrata nella sua vita. Zarin, una giovane prostituta, cerca di fuggire quando si rende tragicamente conto che non riesce più a vedere i volti degli uomini. Munis, una giovane donna con una coscienza politica, deve resistere all’isolamento che le impone il fratello religioso tradizionalista, mentre l’amica Faezeh resta incurante dei disordini nelle strade e sogna soltanto di sposare il dispotico fratello di Munis.

shirin neshat Il giardino, tema ricorrente nei dialoghi e nelle aspirazioni, successivamente è lo scenario, il contesto in cui le quattro donne si ritrovano per liberarsi dal dolore e dalla sottomissione. 

È trascendenza, indipendenza, evasione, esilio e fuga. 

Le quattro protagoniste, infatti, ritornano a sorridere quando occupano, in senso fisico e metaforico, il giardino per suscitare in sé un senso di una vita rinnovata, coccolandosi tra simili.

Per Shirin Neshat la contrapposizione tra uomo e donna, cultura maschile e cultura femminile, è il vertice verso cui tende continuamente a condurre ogni sua operazione artistica. Il linguaggio che procede per dialettica è probabilmente tra i più chiari, ed elementari, me per l’artista diviene ‘poetica’.

I colori, le inquadrature e le angolazioni, il tono delle voci, la caratterizzazione: così Neshat costruisce il suo discorso sul mondo iraniano, fondato sulla dicotomia uomo/donna, che emerge e riaffiora attraverso un rigore estetico inusuale, eppure intuitivo.

Donne senza uomini viaggia tra film e installazione, la cui essenza si respira tra il passaggio dai due diversi linguaggi: il cinema e la video arte.

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Installazione di Donne senza uomini di Shirin Neshat

Shirin Neshat, da sempre impegnata nell’arte contemporanea, compie un percorso complesso: dal libro di Shahrnush Parsipur ne trae la narrazione, che deve coniugarsi con il suo senso iconico dell’immagine per riformularla con un ritmo e una linearità psicologica. Dallo schermo, l’artista deve ri-proiettare il suo film in tanti schermi diversi, estrapolandone il senso evocativo, attraverso immagini tanto autonome quanto in sinergia tra loro, costruendo un percorso sensoriale e ontologico in fieri con l’andamento del fruitore.

Le donne sono sculture, malleabili e vitali, che comunicano con chi le sta esperendo attraverso il colore, lo sguardo, il dettaglio. Sono idee che si rincorrono tra loro; dalla loro somma, si ritorna al vertice a cui aspira Shirin Neshat.

Uomo e donna, in Medio Oriente, sono due entità divergenti e contrapposte. Il conflitto è il loro punto d’incontro, in cui si crea la fenomenologia filosofica, culturale, politica, sociale e psicologica che costruisce l’immagine dell’Iran.

Nell’installazione ogni schermo racchiude un’essenza. 

Primo schermo: uomini inginocchiati, con mani e faccia a terra, raccolti in preghiera; li guarda una statuaria salma avvolta in una coltre azzurra.

Secondo schermo: fermo immagine che inquadra il corpo magrissimo della donna, prima seduto immobile sul letto, poi, riverso in posizione supina e mosso su e giù in un amplesso anestetico.

Terzo schermo: il primo piano del volto segnato dalla follia di Mahdokht ci racconta un’esistenza terrorizzata di perdere la propria verginità e, allo stesso tempo, ossessionata dall’idea della maternità.

Quarto schermo: una donna velata di nero si trova immobile; è Munis, che si sta appassionando alle vicende del suo paese sconvolto da un colpo di stato del 1953. 

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Shirin Neshat tra le Donne senza uomini

Il giardino, anche nell’installazione, occupa un ruolo centrale. Nel film, costituisce un mondo edenico con cui fondersi: Mahdokht si pianta nel terreno per conservare la sua verginità, ma generando i frutti.

In un’osmosi con la natura, vestita di bianco, fluttua sull’acqua come un cadavere: chiara citazione di Ofelia del quadro di Millais.

Il lavoro e l’espressione artistica compiuto e messo a punto da Shirin Neshat svelano una visione introspettiva del Medio Oriente, che si nutre di paradossi e conflitti, per aggiungere quel valore in più, quel movimento “regressivo”, ad una società statica e, alle radici, infondata.

Leggi la prima parte dedicata all’artista QUI

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