Smart working: la pubblica amministrazione è in ritardo
Lo smart working è una forma di lavoro intelligente che consente al lavoratore dipendente di svolgere i propri compiti da casa. La metodologia resasi necessaria nell’ambito di emergenza da Coronavirus, riscontra non pochi ostacoli, soprattutto nella Pubblica amministrazione
Smart working e pubblica amministrazione, è la nuova sfida settoriale nell’ambito dell’emergenza Coronavirus. Si chiede infatti anche ai dipendenti statali di lavorare in maniera intelligente, ovvero da casa, senza recarsi sul posto di lavoro. L’obiettivo dello smart working è infatti quello di ridurre al minimo gli spostamenti, soprattutto quelli motivati da esigenze lavorative.
Il problema riguarda però nello specifico le forme di organizzazione di questa modalità di lavoro speciale, alla quale, ad oggi la Pubblica amministrazione sembra non essere pronta. Finora la burocrazia italiana non si è mai scontrata con una situazione del genere, pertanto anche la Pubblica amministrazione, sembra essere ancora impreparata.
La norma che regola lo smart working nelle pubbliche amministrazioni esiste già dal 2015. Con la legge 124/2015 entrò in vigore per le p.a l’obbligo di adottare misure organizzative di lavoro agile per almeno il 10% di dipendenti che ne facevano richiesta. Nel 2018 i datori di lavoro avrebbero dovuto adottare queste modalità di lavoro intelligente, ma ad oggi si sono cumulati diversi ritardi.
I ritardi sono giustificati da un particolare passaggio della legge. La via verso lo smart working, si poteva infatti intraprendere nei limiti delle risorse di bilancio disponibili. Questo cavillo ha permesso ai datori di lavoro di rifuggire dall’applicazione di questa modalità, provocando un grosso cumulo di ritardi nella Pubblica amministrazione.
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