27 Febbraio 2019 - 06:00

Suburra 2: il male profondo che si estende nelle radici

Suburra

Nella seconda stagione di Suburra, la serie cambia passo e ci presenta un profilo più psicologico. La vicenda diventa sempre più “nera” e “nascosta”

Ci eravamo lasciati con una prima stagione che prometteva fuochi e fiamme nella seconda. E la seconda finalmente è arrivata. La tanto attesa Suburra è tornata. La serie tratta dal romanzo di Giancarlo De Cataldo e Carlo Bonini è di nuovo su Netflix, con la sua tanto attesa seconda stagione.

Una seconda stagione, quella di Suburra, che si presenta più compatta (solo 8 episodi, a fronte dei 10 della scorsa), ma non per questo ridimensionata. Anzi, l’esplosione del “nero” della vicenda, degli intrighi della criminalità organizzata che governa, sottotraccia, la capitale riesce a farsi ancora più avvertire.

Proprio da questo punto di vista, la serie riesce a fare un ottimo salto di qualità, alternando perfettamente momenti di violenza a riflessivi momenti narrativi che ambiscono ad ampliare il disegno globale. Il progetto che riguarda tutta Roma è un vero e proprio “cancro“, un virus che riguarda tutti gli ambiti della vita della capitale, da quello politico a quello più marcatamente “guerrafondaio”.

Il tutto, naturalmente, è coronato dal ritorno di tutti gli attori che avevano fatto emozionare gli spettatori nella prima serie. Alessandro Borghi (ormai in odore di “salto internazionale”), Giacomo Ferrara, Eduardo Valdarnini sono di nuovo su piazza. Ed insieme a loro, nella vicenda, tornano anche Francesco Acquaroli, Filippo Nigro, Claudia Gerini e Barbara Chichiarelli.

Le premesse per una stagione incredibile ci sono tutte.

L’esplosione

La nuova stagione di Suburra prende piede a tre mesi dalla fine delle vicende della prima stagione. Precisamente, siamo nei quindici giorni che intercorrono tra il primo turno e il ballottaggio per eleggere il nuovo sindaco di Roma, con Amedeo Cinaglia (Filippo Nigro) impegnato nella sua campagna elettorale. Come ben si sa, quest’ultimo è messo “sotto scacco” da Samurai (interpretato da un ancora magistrale Francesco Acquaroli), che ne controlla tutti i “fili”, come un burattinaio.

Nel frattempo, nella Capitale sotterranea, è in corso la guerra per incoronare il nuovo re del crimine. Aureliano Adami (Alessandro Borghi), Samurai, Spadino (un enorme, gigantesco, Giacomo Ferrara) e Lele (un ottimo Eduardo Valdarnini) sono tutti e tre impegnati su un punto comune: la ricerca di Livia Adami, sorella di Aureliano (Barbara Chichiarelli).

C’è chi lo vuol fare per vendicarsi (Aureliano), chi per acquisire i terreni di Ostia (Samurai), chi per diventare il capo definitivo della propria famiglia (Spadino) e chi semplicemente perché è stato ricattato (Lele). E c’è anche chi, come Sara Monaschi (Claudia Gerini), risorge sulla pelle di 500 migranti, che sono arrivati a Ostia il giorno prima delle elezioni.

Inoltre, ci sono anche new entry. La poliziotta Cristiana (Cristina Pelliccia), poi Nadia (Federica Sabatini), figlia di un criminale di Ostia, e lo speaker radiofonico Adriano (Jacopo Venturiero), che parla a un pubblico di sportivi e quindi popolare e trasversale. Gli ingredienti per l’esplosione della storia non mancano.

L’attualità della serie

Suburra riesce, ancora una volta, a fare ciò che era riuscita a fare nella sua prima stagione: raccontare l’attualità attraverso fatti di finzione. Se un anno fa si raccontava, con allegorie, la vicenda estesa di Roma Capitale, a rubare la scena, in quest’occasione, è il business dei migranti e il rapporto con la sicurezza.

I temi trattati sono caldissimi, scottanti, tranquillamente tangibili con mano, vicini alla realtà che sta sconvolgendo un Paese come l’Italia. Al suo centro, però, resta comunque l’intreccio e il gioco di potere tra politica e malavita, in cui tutti i personaggi sono costretti a fare dei sacrifici (anche importanti) per garantirsi la “salvezza”. Entra, inoltre, in gioco la propaganda come vero e proprio strumento di insicurezza. In questo caso, la radio romana dove lavora Adriano (un ottimo Jacopo Venturiero) è piuttosto cruciale.

Suburra, dunque, riesce anche a fornire una svolta psicologica in questo senso. La voglia di dare più profondità ai propri personaggi si intravede tutta nel cambio di passo di uno strabiliante Alessandro Borghi, sempre più incline a diventare il “Numero 8” del film, e di un Giacomo Ferrara estroverso, quasi ingombrante all’interno della scena.

Ma il crimine non è solo gioco per gli uomini. Ognuno di loro, infatti, è adeguatamente affiancato da un’ottima parte femminile. Barbara Chichiarelli è il motore di tutto, ma la crescita esponenziale qui l’abbiamo tutta in Carlotta Antonelli, che come moglie di Spadino assume un ruolo sempre più significativo.

La regia come punto debole

Tutto ciò che Suburra porta nella narrazione, però, lo assorbe dalla costruzione tecnica della serie. Il duo registico formato da Andrea Molaioli (già presente nella prima stagione), affiancato da Piero Messina, riesce a riportare il racconto su binari molto più compatti rispetto alla prima stagione. A beneficiarne è il racconto, sicuramente più equilibrato e più diretto.

Il problema, però, è che tutto il gusto e il ritmo che la serie aveva messo nell’azione durante la prima stagione viene perso. Molaioli e Messina, in Suburra, si limitano al compitino, e questa è una grave pecca per una serie che potenzialmente ha un comparto visivo e artistico incredibile.

L’impressione è che i due registi si preoccupino eccessivamente del contenuto, lasciando completamente in disparte la forma. Il tocco, rispetto a quello di Placido nella scorsa stagione, è meno emotivo, meno sensazionalistico, troppo equilibrato. Complice di questo, forse, è anche l’appartenenza dei due registi a mondi completamente diversi (Molaioli al thriller classico, Messina addirittura al documentario) rispetto a quello della serie.

Per una serie noir, il gusto ci vuole e deve obbligatoriamente esserci. Il confronto con Gomorra, ad oggi, resta impari, purtroppo.