Paese che vai, usanza che trovi. Quel che recita il famoso proverbio sta spesso ad indicare come,le piccole differenze negli usi e costumi di un popolo, siano esse stesse i segni rappresentativi della cultura locale. Anche in questo caso, in cui è il mondo si trova alla prese con la violenta pandemia da coronavirus, la risposta al virus non è stata omogenea in tutto il mondo. Sebbene la maggior parte delle nazioni abbiano adottato misure stringenti per tenere a bada i contagi, è pur vero che alcuni non l’hanno fatto. È il caso di Svezia e Giappone che, con forte autoreferenzialità, hanno acclamato i ligi comportamenti degli abitanti durante la prima ondata grazie ai quali si è evitata l’ecatombe. Bene, tutto ciò adesso non è più valido. Il folkvett, il senso civico svedese, e il mindo, la “qualità del popolo” giapponese, non sono bastati.
Entrambi i Paesi hanno sempre portato avanti i valori costituzionali della libertà del popolo, incompatibili con misure coercitive come lockdown e mascherine (non obbligatorie in Svezia). Ci si è solo affidati al buon senso delle persone, invitandole ad evitare luoghi affollati e a seguire le più banali norme igieniche raccomandate. Tuttavia, sia il Svezia che in Giappone la situazione sta degenerando e il numero di morti registrati ogni giorno e, quindi, l’utopia di raggiungere così l’immunità di gregge, conferma come misure più rigide sarebbero state sicuramente necessarie.
Tutto questo è argomento di analisi di un articolo pubblicato The Conversation e firmato da Paul O’Shea, docente del Centre for East and South-East Asian Studies della Lund University. Si legge infatti: “I leader di entrambe le nazioni hanno enfatizzato il fatto che le loro costituzioni prevengono le violazioni delle libertà civili, quali lockdown e sanzioni. Entrambi i governi hanno fondato invece le proprie strategie su volontarismo, responsabilità personale e, forse più importante, l’eccezionalità delle loro popolazioni“. Non solo nessun controllo: in Giappone il governo ha portato avanti l’iniziativa “Go To Travel”, per incentivare la popolazione a viaggiare all’interno della nazione per aiutare l’economia local, un bonus vacanza nipponico. L’iniziativa non è stata mai sospesa (tranne che nei giorni delle festività natalizie), neanche durante la terza terribile ondata con cui stanno combattendo.
Scrive ancora Paul O’Shea: “Il problema attuale, tanto per la Svezia quanto per il Giappone, è l’inerzia eccezionalista. Altri stati hanno velocemente cambiato tattica di pari passo con gli sviluppi della pandemia e le spiegazioni scientifiche“. Svezia e Giappone hanno quindi numeri sempre maggiori di morti e, a questo punto, la domanda sorge spontanea: vale davvero la pena di pagare un prezzo così elevato in nome della libertà?
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