3 Dicembre 2019 - 13:39

The Crown 3, la Corona pesa ma non spezza

the crown

The Crown 3 è un’ulteriore conferma di come Netflix sappia fare la grande produzione. La serie sulla Famiglia Reale resta il miglior prodotto della nota piattaforma streaming

In The Crown 3 è il cambiamento, duro e incontrovertibile, l’elemento di congiunzione con la seconda. Si tratta dell’evoluzione da “giovane donna” a “vecchia megera, come si definisce Elisabetta II – ora interpretata da una straordinaria ed iconica Oliva Colman. Eppure la maturità della sovrana, ci troviamo al Giubileo d’Argento con il 25 anniversario di reggenza, viene resa evidente con poche parole, ma con diversi ed emblematici gesti. Dettagli, come lo sguardo a volte sicuro a volte nostalgico della Regina, la consapevolezza di avere l’onere di essere il Capo Famiglia, continuamente sull’orlo di una guerra intestina, – ma ancora – il modo con il quale si accomoda durante le sedute con i Primi Ministro. Tutto ciò Olivia Colman lo fa con delicatezza, con spietata naturalezza, come solo una grande interprete saprebbe fare.

Una donna, una Regina insoddisfatta

La recensione di The Crown 3, con il senno di poi, non potrà essere avulsa da parallelismi con le passate due stagioni; tanti – appunto – sono i cambiamenti avvenuti in più di vent’anni di regno. La Regina di Olivia Colman è essenzialmente diversa, totalmente distante dalla più giovane interpretata da Claire Foy. Ciò non vuol dire che un’interpretazione sia meno significativa dell’altra. Elisabetta II, quella ammirata nella terza stagione, è semplicemente più ponderata e adulta. Conosce ogni liturgia reale, ogni diritto e dovere, è autonoma nel richiamare all’ordine i diversi membri della sua famiglia. Eppure, sembra svuotata. Svilita da un ruolo perennemente immobile, impercettibile, imperscrutabile.

Elisabetta II è salita su un trono instabile e rovente, allora si parlava di Impero Britannico. Poi le dichiarazioni d’indipendenza dei diversi paesi del Commonwealth, gli scandali a Palazzo e a Downing Street, la crisi economica, che hanno ridotto la Gran Bretagna ad un paese non più di fascia primaria. Una reggenza, pertanto, per nulla semplice, colma di alti e bassi.

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Ma Elisabetta, tra le segrete stanze di Buckingham Palace, è costretta a convivere con altri problemi, ugualmente dolenti. L’insoddisfazione di Margaret di non avere un ruolo, di non poter “brillare” di luce propria, turba la Regina che, ancora una volta, deve voltare lo sguardo dall’altra, perché la “Corona deve vincere, deve sempre vincere“. Suo figlio, il Principe Carlo, sin troppo “estroso” nelle sue relazioni e nel suo modo di pensare, spingono la Regina ad allontanarlo, pur di temprarlo come futuro Re. È una vita difficile, che lascia ben poche soddisfazioni. Elisabetta lo sa, Olivia Colman lo conferma. Rare sono le scene di serenità, di appagamento. Tanti gli sguardi vuoti e persi, tanta la nostalgia per tempi più semplici e felici. La Corona pesa, a volte spezza.

Aberfan

La critica cinematografica (e i fan) hanno già eletto la terza puntata di The Crown (“Aberfan”) come la migliore della stagione, e addirittura come la migliore della serie. Restii a confermare quest’ultimo dato, la 3×03 resta un capolavoro del piccolo schermo.

La tragedia che colpì il Regno Unito nel 1966, dove una colata di fango strappò la vita a 116 bambini, resta una delle più grandi ferite e uno dei più grandi rimorsi della Regina Elisabetta II. Come ad indagare la reale o meno umanità della sovrana, il terzo episodio è un viaggio emotivo che conduce da Buckingham Palace al Galles, dove una disgrazia assume in poco tempo il triste ripiego di una polemica politica. In modo ingiusto viene tirata in ballo la Regina, rea di non essersi recata sul luogo del nefasto accaduto.

Qui, nel piccolo villaggio gallese, assistiamo al vivido scontro fra Elisabetta donna ed Elisabetta II, la Regina. C’è da chiedersi se davvero la sovrana abbia una reale difficoltà a mostrare empatia, umanità, se sia così complesso provare emozioni. C’è da chiedersi se un atteggiamento “coinvolto” sia deprecabile, perché non degno della Corona, se semplicemente Elisabetta abbia paura – di fronte al suo popolo – di non essere abbastanza. Di non essere degna dinanzi al dolore.

Non riceviamo una risposta univoca, ma dei segnali, dei messaggi indiretti volti a “perdonare” o a “comprendere la sovrana, come attraverso le parole del Primo Ministro, Harold Wilson:

“Non possiamo essere tutto per tutti e restare fedeli a noi stessi. Facciamo il necessario in quanto leader, è questo il nostro compito. Attenuare più crisi di quelle che creiamo, è questo il nostro compito, e lei lo assolve in maniera eccelsa. E, in un certo senso, la sua mancanza di emozione è una benedizione. Nessuno ha bisogno di un Capo di Stato isterico: la verità è che l’umanità non è richiesta”. 

Eppure, sembra chiaro che sia la Regina stessa a rispondere alle accuse. Qui, Olivia Colman, supera se stessa con una straordinaria opera di interpretazione, perché la conclusione della 3×03 di The Crown ci dice che dietro il cuore, apparentemente di pietra, c’è ben altro. C’è la possibilità che questo possa pulsare, e persino andare “in pezzi”. Come può verificarsi per altre persone, normali ed emotive. Uomini e donne che piangono ascoltando un inno, che soffrono, che restano se stesse.

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The Crown 3: apologia alla Margaretologia

A contendere lo “scettro” di miglior interprete in questa terza stagione ad Olivia Colman è senza dubbio Helena Bonham Carter, una fragile ed irrequieta Margaret. Annoiata, svilita e incompresa. La Contessa di Snowdon è un’anima tormentata, mortificata, annichilita. Chiede spazio per poter brillare, per poter esprimere il proprio “io”, di poter essere utile, persino libera, eppure sono i vecchi signori di Buckingham Palace ad impedirglielo.

A: “Sorella maggiore e sorella minore. Numero 1 e numero 2.”
M: “E chi è il numero 1?”
A: “Sei tu, è ovvio. Una donna dall’indole da numero 1, la cui tragedia è essere nata numero 2.”
M: “È questo il mio fardello.”
A: “E lei lo sa bene”
M: “Sì, lo credo anch’io. È il suo fardello”

La Carter è disarmante nella sua opera interpretativa: le sue tristi iridi, i movimenti nervosi, gli scatti d’ira, le fughe, il rifugiarsi nel fumo e nell’alcool. Un personaggio vivido, mai passivo – nonostante tutto – che lotta contro la propria famiglia, contro l’establishment, è lei che crea frizioni, lei che pone un equilibrio quantomai precario, è lei che rende la Royal Family una famiglia come tante altre. Proprio per questo motivo ben due episodi sono interamente a lei dedicati: Peter Morgan è stato astuto a sfruttare lo straordinario talento dell’attrice britannica.

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Come per Claire Foy ed Olivia Colman, lo stesso dicasi per Vanessa Kirby ed Helena Bonham Carter. Diverse attrici, diverse donne, diverse interpretazioni. La Carter ammalia, affascina e cattura, eppure la sua fragilità traspare. Sa di non essere invincibile, sa di non essere felice, sa di non sentirsi abbastanza, sa di non avere la vita che, magari, da bambina si augurava. La Maragert della Kirby era una “femme fatale“, romantica, sognatrice, esuberante sino all’eccesso. Due facce di una stessa medaglia.

La serie fa dei suoi interpreti il suo elemento più prezioso. La conclusione della terza stagione di The Crown (“Grido d’allarme” – 3×10) è un climax ascendente emotivo. È un duello, quello tra la Colman e la Carter, a chi strappa la sfera di “migliore attrice” sul set.

È la puntata conclusiva che, col senno di poi, ci consegna una Margaret finalmente consapevole del proprio ruolo, conscia del suo problema con “gli uomini”, fedele e leale alla Sovrana, siglando un nuovo inizio dal punto più basso della sua vita. Ed Elisabetta, che nuovamente fa trasparire le emozioni che tante, troppe volte abbiamo visto reprimere.

“Di tutte le persone che ci sono, tu sei la più vicina e la più importante per me. E se facendo questo, volevi che immaginassi come sarebbe stata la mia vita senza te… ci sei riuscita. Sarebbe insopportabile.”

Dopotutto, la Regina comprende le ragioni dall’autodistruttività della sorella, di cui è essa stessa causa partecipe, con il suo immobilismo, con il suo rigore e la sua rigidità costituzionale. Elisabetta sa di essere la donna che costantemente ricorderà a Margaret che sarà condannata ad essere una meteora, l’attrice non protagonista, colei che deve restare dietro le quinte. Per sempre, per tutta la vita. È il suo fardello.

Carlo, la voce che nessuno vuole ascoltare

A ricevere il plauso di pubblico e critica è Josh O’Connor, un convincente Principe Carlo: stupefacente il lavoro sulle gestualità e le smorfie sul suo volto. L’Erede al trono è l’unico, insieme a sua zia Margaret, a portare scompiglio nella Famiglia Reale. È giovane, audace, innamorato, e forse ancora non del tutto pronto alla vita politica. Ma se il Principe del Galles, agli onori della cronaca fuori dal piccolo schermo è stato perennemente bistrattato per le sue (dis)avventure amorose, nella serie televisiva ne esce rettamente.

È la sua sensibilità, la sua dolcezza che fanno storcere il naso a corte, in primo luogo ai suoi genitori. Ciò che incute più timore, però, è la sua personalità, le sue prospettive, il suo voler assumere una posizione, così come la sua vicinanza allo zio-amico di penna Eduardo VIII, distante anni luce dalle idee rigorose della Regina.

“Come se questa nostra carne fosse di bronzo indistruttibile, e dopo averlo così lusingato viene alla fine e con un piccolo spillo, da nulla, perfora le mura del suo castello, e addio re! Copritevi la testa, non deridete carne e sangue con solenne riverenza. Gettate via il rispetto, perché finora mi avete frainteso: io vivo di pane, come voi, provo desideri, assaporo il dolore, e ho bisogno di amici. Così asservito, come potete venirmi a dire che sono un re?”

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Carlo è solo, è confuso. È il personaggio che, forse più di tutti, rappresenta l’io che – almeno una volta nella vita – siamo stati. Quella condizione di non-stare, non-appartenere, quell’esatto momento in cui le proprie urla sono evanescenti, silenziose, essenzialmente mute. Carlo è in un palazzo di cristallo, ma le sue pareti sono di piombo e cemento. Il suo dolore, la sua inquietudine, le sue idee sono chiuse in una morsa, e nessuno, davvero nessuno, ha intenzione di capirlo, di ascoltarlo.

The Crown 3: la conferma delle grandi aspettative

Netflix ha il potere di creare hype. Con The Crown 3 l’ha fatto ingaggiando attrici e attori di prim’ordine, portando avanti una campagna comunicativa no-stop, l’ha fatto con il denaro, tantissimo denaro (The Crown è la serie più costosa del colosso dello streaming): tutto ciò ha portato il pubblico a bramare questa terza stagione più di ogni altro prodotto presente sul catalogo.

A questo punto, però, le aspettative sono alte. Confermare la qualità delle passate due stagioni sarebbe stata, per chiunque, un’impresa. E se non si tratta di questo, poco ci manca. Fotografia superlativa, minuzioso lavoro al montaggio sonoro con le musiche di Martin Phipps che dettano il ritmo della narrazione al secondo, un cast che – a livello televisivo – ha e avrà pochi eguali, e la sceneggiatura mai banale, mai superficiale, mai lasciata al caso. The Crown resta, e probabilmente resterà per i prossimi tre anni, il prodotto bandiera di Netflix. Con buona pace della Regina.