Vittorio Storaro ai microfoni di Zon: “Fare un film ci aiuta a capire il senso della nostra vita”
Ha lavorato con Bertolucci, Coppola, Allen e Beatty: Vittorio Storaro ha vinto 3 Premi Oscar ed è considerato tra i migliori autori della fotografia di sempre
Il racconto della vita professionale (e non solo) fa capire ad un amante del cinema quanto quest’ultimo abbia il potere, anche indiretto, di cambiare la vita delle persone, di indirizzarla verso luoghi ignoti e, soprattutto, di darne un senso: quello di lasciare un’impronta, un messaggio.
Di tracce, Vittorio Storaro ne ha lasciate innumerevoli e, tutte queste, hanno dato prestigio e lustro al modo di fare cinema e di intendere la fotografia made in Italy.
Nel corso di una lunga ed approfondita intervista, Zon.it ha avuto il piacere di raccogliere e fare tesoro di curiosi aneddoti legati alla vita del tre volte Premio Oscar, ripercorrendo le tappe principali di una carriera costellata di successi: dalla significativa collaborazione con Franco Rossi in Giovinezza, giovanezza (1969), passando a quelle storiche accanto a Bernardo Bertolucci, Francis Ford Coppola, Warren Beatty e Woody Allen.
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Cinema e Fotografia: “stentano a crescere in Italia“
“Bisogna far capire a certi nostri interlocutori che la parola arte non significa soltanto pittura e scultura, ma anche abilità. La fotografia è un’espressione ormai consolidata da più di un secolo. Ci sono musei (Usa e Francia N.d.r) interamente dedicati alla cinematografica che hanno delle sale cinematografiche le proiezioni sono considerate delle vere e proprie mostre d’arte. In molte nazioni la cinematografia le parole ‘fotografia’ e ‘cinematografia’ hanno una considerazione di alto livello, in Italia invece stenta a crescere. Ci sono delle arti che hanno contraddistinto dei secoli, si è partiti dalla scultura e dalla filosofia, poi in Epoca Romana l’architettura, nel Rinascimento con la pittura, nel Settecento con la musica, nell’Ottocento con la letteratura, nel ‘900 e negli anni 2000 si è arrivati al cinema e alla fotografia (“l’arte visiva moderna” – come affermato da Storaro). Come si studiano quel tipo di arti, così andrebbe studiata l’arte della fotografia e quindi della cinematografia.”
Il primo film come il primo amore
“La nostra vita è fatta di episodi che fanno parte della nostra crescita. In realtà è come scegliere la pagina migliore di un libro: la terza pagina vive delle prime due pagine che l’hanno preparata e di quelle successive. Il mio ritratto è un mosaico di tutti quanti i vari film, con esperienze diverse, personaggi diversi. Io ho temuto, quando è finito il primo film, che fosse finito il primo amore. Un po’ era vero, un po’ mi sbagliavo perché ogni progetto è un nuovo progetto.”
Per Storaro “fare un film ci aiuta a capire il senso della nostra vita”
“Franco Rossi, con il suo Giovinezza, giovinezza, è arrivato in un momento in cui dovevo, mi sentivo pronto, in più la materia era interessante. Rossi è stato per me un padre spirituale. Ho detto dei ‘no’ anche a Bertolucci, così come mi è accaduto con Coppola. Con la mia innocenza, o forse anche con un po’ di arroganza, io credevo in una certa cosa che andava fatta in quel modo. Dicevo quello che volevo fare e solo dopo la loro approvazione accettavo la loro proposta. Sono stato fortunato: ho sempre incontrato delle grandi personalità anche se non tutte, qualcuna mi ha detto “che pensava una cosa diversa” ed io però non mi convincevo e il film non l’ho fatto. Uno che fa cinematografia non può fare tutti i film, lavorare con tutti i registi perché in ogni professione noi cerchiamo di capire se siamo in grado di fare (‘una determinata cosa’ n.d.r.), se riusciamo a farlo un po’ meglio, se riusciamo a scoprire qualcosa di nuovo, se riusciamo a capire il senso della nostra vita: lo capiamo lavorando, esprimendoci. Quando mi offrono un progetto devo capire se mi interessa, se mi incuriosisce, altrimenti dico di ‘no’.”
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