20 Settembre 2017 - 11:56

Sentenza della Cassazione sul sequestro di immobili in cui si svolge attività di prostituzione

prostituzione

Il sequestro preventivo di un immobile è illegittimo se il proprietario non è consapevole dell’attività di prostituzione svolta al suo interno dal locatario (Corte di Cassazione, Sezione 3 Penale, Sentenza n. 20247/2017)

[ads1]

A cura dell’ Avv. Luca MONACO del Foro di Salerno

E’ quanto ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza in commento. Il Tribunale di Catania, Sezione Riesame, con ordinanza, confermava il decreto di sequestro preventivo, disposto dal Gip, di un appartamento, ritenuto adibito all’esercizio della prostituzione. In particolare, i Giudici cautelari reputavano dimostrata la circostanza che il ricorrente, proprietario dell’immobile, quantunque non indagato nel procedimento penale a carico di terze persone per i reati di sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione, fosse a conoscenza dell’illecita attività di meretricio, svolta all’interno dell’appartamento. Ciò alla stregua della circostanza per la quale il ricorrente era proprietario anche di altre unità immobiliari, ubicate nel medesimo stabile, anch’esse ritenute strumentali all’esercizio della prostituzione. Il proprietario dell’immobile, tramite il proprio difensore, ricorreva per cassazione, deducendo la violazione di legge per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale.

La Corte di Cassazione, censurando talune inesattezze interpretative e valutative degli accadimenti in esame da parte del Tribunale a quo, accoglieva il ricorso in ossequio a un pregresso e pressoché costante orientamento della giurisprudenza di legittimità. Nel caso di specie, il Tribunale del Riesame aveva originato le proprie determinazioni alla stregua di un automatismo valutativo, ritenuto inesatto dai Giudici della Corte, da cui promanava una motivazione apparente del provvedimento impugnato: l’asserita consapevolezza del proprietario circa l’attività di prostituzione esercitata nell’appartamento. Tale congettura era oggetto di una duplice censura da parte della Suprema Corte. Orbene, come più volte postulato dalla giurisprudenza di legittimità, ai fini della sussistenza, sotto il profilo soggettivo, del reato di sfruttamento o di favoreggiamento della prostituzione a carico del proprietario, non è sufficiente la consapevolezza in capo a quest’ultimo che all’interno del proprio appartamento si eserciti la prostituzione. E’ imprescindibile, infatti, che tale conoscenza sia associata alla prova di un apporto fattuale del proprietario, diverso e ulteriore rispetto alla mera locazione dell’immobile, che sia funzionale allo svolgimento dell’attività di meretricio.

Nella specie, il ricorrente aveva locato, con contratto regolarmente registrato, un appartamento di sua proprietà a una terza persona, che, a sua volta, lo aveva sublocato a una donna che vi esercitava la prostituzione; di talché, essendovi incertezza assoluta, sia per quanto attiene alla consapevolezza del proprietario dell’attività illecita svolta nel proprio appartamento, sia di un ulteriore supporto fattuale dello stesso, finalizzato ad agevolare l’ esercizio della prostituzione, la Suprema Corte annullava con rinvio l’ordinanza del Tribunale del Riesame di Catania

[ads2]