9 Novembre 2016 - 13:18

Elezioni USA, quando il sogno americano ha le dimensioni di un giardino

Elezioni USA

Elezioni Usa, quando il sogno americano ha le dimensioni di un giardino. Donald Trump è il 45° Presidente degli Stati Uniti.

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Il nuovo Presidente degli Stati Uniti è Donald Trump, partiamo da un dato di fatto. Proprio lui, uno dei più facoltosi investitori immobiliari di New York, uomo che ha avuto la possibilità di studiare in una delle migliori Università d’America, ma che non crede nel surriscaldamento globale. Un complotto dei cinesi, lo ha definito. Dopo lo sconforto iniziale in seguito alla lunga notte dell’Occidente, sembra che questa candidatura e conseguente vittoria siano l’ovvia impersonificazione dell’America, in un certo senso. Paese dalle immense potenzialità, dove tutto è possibile ma il debito scolastico incombe come un’ombra nera sui suoi cittadini da quando nascono fino a quando muoiono, dove studiare è qualcosa per ricchi nonostante basti un po’ di sano talento e grandi sogni per sfondare e fare qualcosa di bello. Paese più potente del mondo con un buon tasso di analfabeti funzionali, a quanto pare. 

Il “fascino” di Trump:

Certo non è difficile capire cosa abbia portato Donald Trump alla vittoria. Aggressivo, irriverente, sfacciato e assolutamente allo sbando, ha fatto delle parole la sua arma vincente, come a suo tempo fece Obama, ma non potrebbe averlo fatto in maniera più differente. Obama portatore di cambiamento, belle speranze, sogni in grande; Donald Trump promette invece il ritorno del “sogno americano” con una buona dose di conservatorismo. L’America è il Paese del tutto e del niente, del possibile condito con l’impossibile e, adesso, del “sogno americano” all’insegna del conservatorismo. Forse un Donald Trump ce lo meritiamo, tutti, non solo gli Americani.

L’uomo d’affari non piace alle minoranze, alla maggior parte del mondo LGBT, alle donne e ai figli di immigrati. Insomma, non piace alla maggioranza della popolazione, come del resto non piaceva Hillary Clinton, avversaria debole che ha dovuto basare l’intera campagna elettorale sulla figura molto più forte di Michelle Obama – che invitiamo caldamente a candidarsi, grazie tante – ma c’è un fatto: Trump strizza l’occhio agli imprenditori come lui. Quelli che di fondo non hanno una cultura solida, ma che magari hanno studiato nelle migliori università. Di quelli che indossano lo stivale con la punta in oro e il cappellone alla texana, per farvi una caricatura del tipo di elettore. Trump piace agli spaventati cronici, a quelli che parlano di sogno americano e non riescono a guardare oltre il proprio orticello, perché il sogno in realtà è abbastanza grande da essere contenuto in un simpatico recinto borghese spennellato di bianco. Fino a qui non mi sembra di aver detto ancora niente di nuovo, ma non c’è paradossalmente niente di nuovo neppure in questa vittoria.

Il precedente:

Il precedente c’è ed è Ronald Reagan, che aderisce negli anni quaranta al Partito Democratico ma passa ai Repubblicani negli anni sessanta, cosa che Donald Trump ha poi replicato, fra le altre cose. Un cambio di idee o la scelta di andare dove ci porta il cuore, per non dire il vento? Sarebbe curioso chiederlo allo stesso Trump, chissà come mai la domanda non gli è mai stata posta. Reagan fu governatore della California per due mandati, si candida nel 1976 alla presidenza ma fallisce. Nel 1980 il malessere economico nazionale spinge i Repubblicani a candidare Ronald Reagan alla Casa Bianca e stranamente la cosa ha successo, perché nel 1980 sconfigge il presidente in carica Jimmy Carter. Sulla spinta del suo successo, la politica economica e estera di Reagan diventano la base del movimento conservatore americano. Sebbene la politica attuata da Reagan abbia dato i suoi frutti, è anche vero che l’analogia con Trump non si basa su questo. Il Presidente dovrà governare appoggiandosi a una maggioranza e un’opposizione, questo sembra scontato. Sebbene le competenze di Trump siano completamente inesistenti, è altamente improbabile che le cose annunciate durante la campagna elettorale vengano messe in atto. Sarebbe il suicidio di un Paese, è ovvio. Il paragone regge se analizziamo il tutto dal punto di vista del tono persuasivo, irriverente, a tratti raso terra, che per molti più che ignoranza ha significato schiettezza. I giovani non lo hanno votato, risulta essere il Presidente della “vecchia guardia”, quelli che la propria fortuna se la sono costruita senza guardare in faccia al vicino di casa, ecco. Quelli che dei temi sociali non se ne sono mai fatti niente. “Non mi portano soldi in tasca, ergo non mi interessa” dice il ragionamento e dati i risultati di oggi, per qualcuno sembra ancora filare. Il Presidente dei bianchi, ha detto qualcuno, ma dall’altra parte i neri dicono che a Hillary Clinton interessano solo i loro voti, non le loro vite. E forse è vero.

Pronostici e diagnosi:

Se anche i Simpson – notoriamente dediti allo scherno della società Americana e ironici –  riescono a prevedere Trump come Presidente degli Stati Uniti, c’è qualcosa che non va o forse c’è qualcosa che ci sfugge, ecco. L’elettore medio è stupido, dice qualcuno, altri danno la colpa ai candidati che non sono stati dei migliori e ancora alla Russia, ai terroristi, agli immigrati perché ci sta sempre bene, ai Messicani che pure loro, potrebbero stare a casa, all’FBI e a chi più ne ha più ne metta. La verità è che per quanto sembri che la fine del mondo sia vicina, questa non è l’analisi più lucida. Il mondo non finisce oggi, è solo fragile. Altra banalità, ma non smette mai di stupire come la xenofobia, l’omofobia, il bigottismo, la scarsa considerazione delle donne e di qualunque tipo di minoranza che non abbia i presupposti e i dollaroni per decidere di comandare possa vincere in qualsiasi momento. Questo bibitone – banale anch’esso – sembra esser riproposto a più riprese, eppure non stanca mai. “Obama predicava la pace e portava la guerra” si è spesso sentito dire senza però considerare che l’America vive anche di questo, di guerra. L’America è la più pazza contraddizione che l’Occidente abbia mai visto e vista da una certa angolazione, è bella anche per questo. Obama ha cercato di portare non la pace, ma l’uguaglianza, che è l’aspirazione massima per la grande e pazza America che ancora parla di Polizia che uccide i neri senza veri presupposti. Il vero fallimento dell’America allora sta in questo, nell’emergere più che nel ritorno di pregiudizi e disuguaglianze, di “io sì e tu no”. Il vero fallimento dell’America e dell’Occidente è stato questo: parlare di uguaglianza e grandi sogni guardandoci la punta delle scarpe. Il fallimento è che questa grande e pazza America, insieme all’Occidente che guida (o guidava?), abbia il volto di Donald Trump. 

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