3 Maggio 2017 - 11:09

Siamo figli dell’era postmoderna, una delle nostre più grandi paure

Siamo figli dell'era postmoderna, una delle nostre più grandi paure

Le paure rappresentano generali sensazioni di allerta, che ci predispongono alla difesa: le identifichiamo in stati di diversa intensità emotiva, dall’apprensione o ad una generalizzata inquietudine fino alle spiacevoli accezioni esperienziali di ansia, terrore, panico. Siamo figli dell’era postmoderna, e ne siamo terrorizzati

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La paura è un’emozione primaria e profondamente soggettiva. Il vissuto fenomenico della paura può riferirsi sia ad un’emozione attuale che ad una preoccupazione che ci si prospetta nel futuro; ma può scatenarsi anche perché evocata dal ricordo o perché prodotta dalla fantasia, in seguito ad una condizione imprevista o ad un semplice stato di incertezza.

Siamo figli dell'era postmoderna, una delle nostre più grandi paure

Edvard Munch, Il Grido, 1893

Nelle nostre paure, qualunque esse siano, risiede quindi la sensazione di un qualcosa, spesso non ben identificato, che ci sta minacciando: ciò ci predispone ad una situazione d’emergenza, rendendoci soggetti ad atteggiamenti di lotta o di fuga. Del resto, a volte, la paura non è altro che la sublimazione di una generalizzata angoscia esistenziale.

La nostra generazione, quella postmoderna, è atterrita da ciò che questa epoca comporta: ecco che la sua eredità ci soffoca, ci castra, ci seppellisce vivi. E se “la paura fa novanta”, essere nati in quegli anni non aiuta. Noi figli dei ‘90 celiamo la nostra sensibilità nel lamento, e ne usciamo vivi solo al prezzo di mille paure.

Annichiliti dagli ’80, raccogliamo un’eredità di abbandoni, di tensioni e rotture, di hỳbris genitoriale e sociale. Il nostro è il bisogno e la paura di appartenere ad un luogo, a qualcosa o qualcuno, nell’incapacità generazionale di accettarsi, per poi ridursi mestamente a intraprendere la direzione che qualcun altro ha prestabilito per noi.

Siamo figli dell'era postmoderna, una delle nostre più grandi paure

Zdzisław Beksiński

C’è un momento nella vita di scoperta di sé, del futuro e di cosa vuol dire diventare adulti. Giorni da dubbi amletici: restare o fuggire? Provare o rassegnarsi? Giorni bui, di terrore, di annientamento. Giorni senza filtri in cui tutto è capace di toccarci, di distruggerci.

Allora, spogliandosi lentamente dalle proprie sovrastrutture esistenziali emergono le paure. La paura non si genera dal nulla, ma è un costrutto occultato dalla leggerezza degli anni migliori. Quando la leggerezza si dirada, la paura affiora.

“Non lasciarmi, Drusilla. Ho paura. Ho paura dell’immensa solitudine dei mostri. Non andartene”. (Caligola, Albert Camus)

C’è chi è paralizzato dal pensiero della morte, chi da quello della vita. C’è chi ha paura dei fantasmi. C’è chi ha l’incubo della chiesa e della religione, chi dello Stato. Chi teme la folla, chi la follia. Chi è spaventato dal disordine mentale, chi da quello sociale; chi dalla razionalità, chi dall’istintività; chi dal dolore, chi dalla noia.

Chi è angosciato dalle pareti, chi dagli spazi sconfinati. Chi ha paura di non aver chiuso la porta di casa o quella dell’auto; chi ha paura di ingrassare, chi di invecchiare. Chi è terrorizzato dai ragni, dai serpenti o dai topi. Chi ha paura degli alieni, chi degli umani. Chi ha paura dell’altro, chi del diverso; chi è spaventato da chi gli somiglia. Chi si nasconde dagli altri, chi da se stesso. Chi ha paura di fidarsi, chi ha paura di non poter essere una persona su cui contare.

Chi teme il passato, chi il futuro, chi è annientato dal presente. Chi è terrorizzato dal buio e dalle cose che nasconde, chi dal risveglio perché ruba sempre i sogni alla notte. Poi c’è chi ha paura di scegliere perché ha paura di sbagliare; chi ha paura di perdere tutto nel momento in cui ammetterà ciò che realmente vuole.

Siamo figli dell'era postmoderna, una delle nostre più grandi paure

Zdzisław Beksiński

C’è chi ha paura di rimanere lo stesso, chi ha paura del cambiamento. C’è chi non rischia mai e chi invece è terrorizzato dalla sicurezza. C’è chi la paura la trasforma in tentazione, chi dinanzi al terrore mantiene un contegno stoico.

C’è chi è atterrito dall’idea di appartenere a qualcuno quanto da quella di essere abbandonato. Chi è tormentato dalla paura di amare e chi invece non concepisce l’idea della solitudine. Chi in preda alla paura allontana gli altri, chi terrorizzato aliena se stesso. C’è chi ha paura della felicità e chi ha paura della paura.

Di fondo in tutte le paure rimane costate la sensazione di un incomprensibile terrore: eppure far entrare qualcuno nelle proprie paure è la paura più grande.

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