Roccagloriosa. Archeologia del passato Lucano
Roccagloriosa, un pezzo del Cilento con un’ampia storia, è la nuova tappa di A ZONzo dopo Shanghai. Prima parte nel sito archeologico e nei musei
[ads1] “Sul declinar di questa montagna chiamata di Bulgaria a tramontana trovasi la Roccagloriosa; paese grande, ed in bellissimo sito allocato: Ad esso sta quasi unito un altro piccolo paese chiamato Rocchetta, ed ambedue hanno la veduta ne’ piani del Menicardo, delle montagne di Cuccaro, e di Laurito, come del mare sul seno di Vibonete, o sia golfo di Policastro, e delle montagne di Basilicata, e di Calabria con terreni, ch’ogni sorta di frutta producono, specialmente grano, lino, ed oglio. Fu il paese cosi detto della Rocca, che i Bulgari vi fabbricarono, i cui ancora le vestigia si vedono verso il castello”
Così Giovanni Antonini, barone di San Biase, nella sua “corografia” della Lucania, nel 1745 ci narrava a proposito dei due villaggi di Rocca (la) Gloriosa e Rocchetta.
Roccagloriosa è quasi una tappa “obbligata” quando si mettono i piedi nel Cilento. Una posizione strategica che colpì le popolazioni del passato, tanto da farne un nucleo abitato. Data la complessità della storia di Roccagloriosa, è stato opportuno dividere la visita in due distinti percorsi: oggi l’area archeologica e i musei, prossimamente la storia dell’abitato attuale. A ZONzo, per raccontare i centri cilentani, è sempre alla ricerca di qualcuno con cui interagire e rivivere i luoghi. In questa tappa l’architetto Luigi Scarpa è stato una guida eccezionale, portandoci nel cuore della storia, diffondendo la sua passione per la ricerca archeologica a tal punto da far percepire quelle pietre come opere d’arte in esposizione.
Lontano dal centro abitato sorge l’area archeologica. Non ci sono addetti alla cultura a ospitarci né ingressi ufficiali, ma un custode, Ugo Balbi, che ha ereditato dal padre il servizio alla “sua” terra. Ugo ci accoglie con un sorriso smagliante, le sue caprette scappano via al rumore dei motori, perché abituate al silenzio della natura che li accoglie e protegge; il nostro percorso è introdotto da saluti affettuosi, cordiali, autentici. Questa è una pratica tipicamente cilentana: la storia e l’arte sono spesso custoditi in forma ereditaria, si tramandano da padre in figlio, i quali provvedono a mantenere viva la memoria con la loro diretta e attiva testimonianza.
Ci è possibile fruire la zona archeologica grazie agli interventi di recupero tra gli anni ’70 e ’90 degli archeologi Maurizio Gualtieri ed Helena Fracchia, dell’Università Alberta di Edmonton. Durante gli scavi e di fronte alla considerevole quantità di materiali pervenuti, è stato possibile definire le origini e la storia sociale ed economica dell’abitato antico: risale al IV secolo a. C., quando i Lucani si stanziarono in un territorio tra il Mingardo e il Bussento, avendo sotto controllo gli arrivi dal mare. Per la conformazione del terreno e per la posizione, tanto isolata quanto strategica, Roccagloriosa dei Lucani si struttura come una fattoria, basata su agricoltura e pascolo, ma non assume le caratteristiche di una città.
Nonostante la presenza di una cinta muraria di circa 2 km, l’interno non ha visto un’organizzazione complessa, piuttosto ognuno viveva in maniera autonoma uniti tra loro per motivi parentali o religiosi. Il culto è sicuramente un dato tangibile, come testimoniano i resti di un’edicola votiva (naiskos) nel cortile in basolato del complesso A, che non aveva una funzione abitativa. Nei pressi dell’edificio troviamo i resti di un forno per la ceramica: attività acquisita probabilmente durante i viaggi, essendo i Lucani una popolazione italica itinerante. Il complesso A, con funzione di “deposito votivo” è un’ importante testimonianza storica per ricostruire le pratiche religiose delle genti lucane: figure di divinità femminili sedute su un trono con attributi che ricordano la fertilità alludono al culto di Hera pestana, i resti ritrovati di capretti esprimono una naturale predisposizione alle offerte sacrificali, vasetti in miniatura documentano invece il culto di tipo “domestico” e familiare.
Questa tradizione religiosa è ancora riscontrabile in molti paesi del Cilento; basta osservare gli esterni delle case più datate, dove spesso ci sono nicchie che contengono, o contenevano, santi appartenenti al culto della famiglia o del paese di origine. Non solo, all’interno delle abitazioni si possono trovare angoli delle case predisposte o alla memoria dei cari defunti o dei santi verso cui si prova forte devozione e fede. Si tramanda, forse, inconsapevolmente e atavicamente.
Un fatto riscontrabile con certezza è che la vita della popolazione non aveva un’organizzazione politica complessa, nel senso di poleis greca, in quanto non ci sono zone pubbliche per i servizi alla comunità, ma l’autonomia di ogni famiglia era probabilmente regolamentata da poche leggi, parzialmente riportate su un’epigrafe ritrovata: una tavoletta di bronzo in lingua osca (lingua dei Sanniti). Il Pianoro Centrale è la zona che meglio chiarisce la tipologia di vita comunitaria dei Lucani, dove gli abitati erano disposti per isolati; anche se il rinvenimento dell’impugnatura di bronzo di una caduceo con iscrizione DE(mosion), ossia del ‘popolo’, fa intuire la possibilità di un edificio adibito a riunioni di carattere pubblico, dove ci si recava per concordare un’organizzazione interna della comunità.
La Necropoli (lungo la sella La Scala) è un altro passaggio significativo per avvicinarci sempre di più a un’epoca così lontana, in cui si sono state ritrovati numerosi reperti custoditi nell’antiquarium e nel museo Antonella Fiammenghi. Il primo aspetto che colpisce è la monumentalità delle tombe durante il IV secolo a.C., in particolare della tomba n. 24, esterna e con uno stile ben curato (copertura triangolare e con il letto di deposizione), mostrando anche la componente aristocratica delle famiglie, alcune con una posizione tale da poter avere una tomba visibile a tutti. Ritrovate anche le tombe n.19 (datata 330 a.C.) che, quasi con certezza apparteneva a un maschio adulto, per la presenza di un vaso molto grande all’interno. Dal vaso si nota un errore di cottura in una zona centrale, ipotizzando la possibilità di aver chiamato un artista a Roccagloriosa, dove modellò e decorò il vaso, ma non conoscendo il forno, avrebbe però causato una cattiva distribuzione del calore. La tomba n. 6, collocabile nella fine del V secolo, presenta un corredo di bronzo per banchetto, che restituisce anche momenti della vita quotidiana della comunità.
La qualità e la raffinatezza simbolica dei vasi e degli oggetti ritrovati nelle tombe, dimostrano anche la capacità della popolazione italica di captare varie tecniche artistiche, come in Puglia o in Sicilia, e d’imitarle o meglio di portare l’arte nel proprio territorio.
Di particolare interesse è la tomba n. 9, dove sono stati ritrovati dei gioielli in oro di straordinario valore e manifattura. Una tomba che presenta un letto funebre in pietra e con un’ampia fossa, fa pensare che contenesse una persona di un certo rilievo sociale. La sepoltura è di una donna, di circa 25 anni, con un corredo in oro: collana con pendenti, anelli e un bracciale intrecciato con serpenti. Si associa anche questo corredo ad artisti al di là del territorio cilentano, probabilmente da Taranto, e commissionato.
Chiunque si soffermerà a Roccagloriosa, e avrà il buon senso di arrivare fin su, dove si trova la zona archeologica, sarà immerso in un’atmosfera pacata e spirituale. Non solo la posizione alta e ben esposta con i paesi vicini, ma il verde e il silenzio del luogo lasciano intuire le menti e gli animi della popolazione lucana. Organizzata in maniera semplice, sfruttava il terreno nelle sue potenzialità naturali, poi però dedicava buona parte del tempo al culto e alla spiritualità. Nel girovagare e nel confronto con gli altri, riusciva a trovare le migliori forme di espressione artistica per addobbare il luogo più importante nella loro cultura: la tomba. Nelle tombe ogni dettaglio racconta qualcosa del defunto, della vita che ha vissuto, della sua posizione sociale e della devozione.
Un viaggio intenso e affascinante nell’abitato più antico, distrutto e abbandonato gradualmente per via delle guerre puniche e per la natura franosa del terreno. Presto A ZONzo tornerà a Roccagloriosa per scoprire la storia del paese più da vicino: tra Palazzi e Portali, tra Fede e Acqua.
Fonti bibliografiche:
- Antonini Barone di San Biase, La Lucania discorsi, Napoli 1745
- Pietro Ebner, Chiesa, baroni e popolo nel Cilento, 2 voll, edizioni si storia e letteratura, Roma 1982
- Maurizio Gualtieri, Helena Fracchia, Roccagloriosa I, Centre Jean Bérard, Napoli, 1990
- Maurizio Gualtieri, Helena Fracchia, Roccagloriosa II, Centre Jean Bérard, Napoli, 2002
Si ringrazia con affetto e stima Luigi Scarpa. Una guida, un maestro, un amico.
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