Marco Bellocchio: l’omaggio di Paolo Sorrentino al regista italiano
Il regista italiano Marco Bellocchio ha ritirato la Palma D’Onore conferitagli al Festival di Cannes. Paolo Sorrentino ha dato inizio alla cerimonia con un toccante discorso introduttivo
Nel corso dell 74° edizione del Festival di Cannes, Marco Bellocchio, ha presentato la sua ultima pellicola, “Marx può aspettare”. Il film è stato definito dalla stesso regista come “biografico”. Un documentario che racconta della la tragica vicenda del suicidio di Camillo, suo fratello gemello morto a soli 29 anni; che però vuole essere anche una riflessione sulla Storia- quella con la S maiuscola, della memoria e su cosa voglia significare “fare cinema”.
“Nel corso della carriera ci sono sempre stati riferimenti a lui, in particolare con “Gli occhi, la bocca”, ma di quel film non sono mai stato soddisfatto. Oggi invece mi sento finalmente libero, alleggerito, anche capace di fare dello spirito. Sono emerse cose meravigliose e inedite, tipo mia sorella Letizia sordomuta che non aveva mai parlato: ha dimostrato uno spirito tipicamente bellocchiano pure mantenendo salda la propria fede in Dio”– ha dichiarato Marco Bellocchio
“Non l’avevo capito – dice Bellocchio – come neppure gli altri miei fratelli, il resto della famiglia. Ma io, che ne sono il gemello, sento ancor più grave questa responsabilità di distrazione, anzi, di vera e propria assenza. Ecco perché Marx può aspettare è il mio film più privato nel quale però mi sono sentito molto libero, benché non assolto. Non avevano intuito la tragedia che sottostava la vita normale di mio fratello Camillo.
Ma gli impegni di Marco Bellocchio a Cannes non sono finiti con la sola presentazione del suo film-documentario, visto che il regista italiano ha ritirato anche la Palma d’Onore, un’onorificenza che pochi registi possono vantare. La cerimonia di premiazione è stata introdotta da un lungo e commovente discorso tenuto da Paolo Sorrentino.
Ecco di seguito il discorso completo.
“Ogni volta che lo incontravamo, terrorizzati dalla sua intelligenza, noi altri del cinema italiano, provavamo a compiacere Marco Bellocchio. Un lavoro vano. Con grande cortesia, Marco Bellocchio opponeva al nostro corteggiamento un’umile indifferenza. Ma non era snobistica distanza, solo autorevolezza. Questo è apparso chiaro a tutti sin dal primo capolavoro di Marco, I pugni in tasca. Ci si trovava di fronte a una voce autorevole. E non ha mai smesso di esserlo nel corso della sua lunga carriera. Marco Bellocchio è tutto quello che un regista dovrebbe essere, appartato, discreto, lontano dall’egocentrismo, curioso dell’altro. Gli uomini curiosi non hanno tempo per elencare aneddoti sulla grandezza dei loro film. Sono sempre intenti a conoscere il mondo e a porsi domande.
Ultimamente ho avuto il privilegio di frequentarlo di più e confesso che resterei ore a fissare la sua vitalità da ragazzo, il suo candore, la sua padronanza di un umorismo solo in apparenza involontario. Ma soprattutto, quello che mi rende curioso in maniera morbosa nei suoi confronti è la sua sotterranea inquietudine. Perché, a mio parere, è questa inquietudine che rende grande il suo cinema. Fare grande cinema è il risultato di una lunga guerra che un autore ingaggia con se stesso.
Ogni nuovo film di Marco Bellocchio è un’emozione, perché mi pone sin dai titoli di testa questa bellissima domanda: “In quale fase della guerra si trova Bellocchio?’. La sua ribellione, che Thierry Fremaux ha sottolineato motivando questo premio è, secondo me, una lunga, necessaria, meravigliosa ribellione con e contro se stesso. Tutto questo, fortunatamente, la Francia e il Festival di Cannes lo hanno compreso e riconosciuto, conferendogli la Palma d’Oro Onoraria. Che oggi va al più importante e giovane regista che abbiamo in Italia: Marco Bellocchio”.
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