26 Gennaio 2023 - 18:49

Lory Muratti si racconta a Zon.it

Lory Muratti si racconta a Zon.it. Scopriamo, insieme, che cosa ha raccontato l'artista in merito a "Torno per dirvi tutto"

Lory Muratti

Lory Muratti è musicista, scrittore e regista. Durante il corso della sua carriera ha pubblicato:

  • Il romanzo “Valido per due” (2005)
  • Il libro e il disco “Hotel Lamemoria” (2007)
  • Il libro e il disco “Scintilla” (2013)
  • Il romanzo e l’omonimo album “Torno per dirvi tutto” (2022)

Scopriamo, insieme, tantissime sfumature della sua persona e della sua anima tramite un’intervista esclusiva di Zon.it organizzata e curata da Filomena Volpe.

INTERVISTA ESCLUSIVA A LORY MURATTI

Ciao Lory, buon pomeriggio! Come stai?

“Ciao Filomena, buon pomeriggio a te! Sorrido perché sono reduce da due notti un po’ insonni e forse questo si vede ma sto bene. A volte le notti insonni servono per essere più energici nell’immediato. Si pagano dopo ma va bene così”.

È in libreria ed è disponibile sugli store digitali Torno per dirvi tutto, il nuovo romanzo che ha ispirato l’omonimo album. Da che cosa deriva quest’esigenza, quest’urgenza di unire la narrativa alla musica?

“Usi la parola “urgenza” che è assolutamente indicata per descrivere il meccanismo con cui io mi metto al lavoro. La scrittura e la musica, in questo senso, sono complici in maniera del tutto spontanea, quindi è un dialogo per me che è sempre esistito e che è del tutto spontaneo. Io, in genere, lavoro scrivendo un racconto e dal quel racconto estrapolando il testo di una canzone che poi corrisponde, in termini di atmosfera, di mood generale alle atmosfere del racconto. Diciamo che questo è il meccanismo dal quale sono partito come autore, ho iniziato a scrivere così. È un meccanismo che è diventato una formula nel tempo e che è cresciuto assumendo il respiro di un disco, di canzoni ispirate alla storia raccontata nel romanzo e le due cose continuano in un aggiustamento reciproco a dialogare fino alla fine, fino al completamento dell’opera e quindi non c’è un qualcosa che viene prima. Forse la scrittura, appunto, ma in una fase iniziale per fornire lo spunto per la canzone. Successivamente procedono appaiate, mi capita spesso di tornare sull’una o sull’altra correggendo o rivedendo in funzione di quello che è accaduto sull’altro fronte ed è per questo che i miei lavori, da un po’ di tempo a questa parte, si connaturano su questi due volti”.

Di che cosa parlano, rispettivamente, il libro e l’album? Com’è nata quest’ “opera organica”?

“I miei libri vengono incasellati in quel particolare genere definito “autofiction” che è un genere poco praticato in Italia […]. All’estero ci sono molti autori che lavorano in questo senso e l’ “autofiction” altro non è che un genere in cui il protagonista delle pagine narrate è l’autore stesso in un equilibrio continuo tra realtà, menzogna, finzione e realtà vissuta, vita vissuta… quindi il modo in cui i miei lavori cercano di spiegare una storia e di raccontarla in musica e in narrativa è un continuum con la mia esistenza, cioè a volte un evento scatenante è l’incipit di questa progettualità e di lì in avanti è come se io decidessi di vivere osservando quello che accade, forzando delle cose, andandone a cercare delle altre. È come se io, da quel momento, andassi a ricercare la storia da raccontare. In quel tipo di misura nascono, poi, gli spazi delle canzoni che a differenza del libro, chiaramente, hanno anche un’urgenza espressiva più immediata. Ci sono dei momenti nei quali tu, magari, ti siedi al pianoforte e scrivi una canzone mentre ciò che accade con la scrittura è una sorta di divenire continuo, una cosa che ti accompagna man mano e non sai, esattamente, quando finirà questo processo lavorando in questo modo e nel caso di “Torno per dirvi tutto” ho impiegato sei anni, sei anni per arrivare al completamento dell’opera proprio perché – lavorando in questa sorta di equilibrio del quale parlavo poc’anzi – segui anche i passi della tua vita che non sono sempre programmabili e quello di cui parlano è un tema comune che è la scaturigine del racconto stesso”.

Che cosa hai scelto di comunicare, esattamente, con il titolo “Torno per dirvi tutto”? Da dove sei tornato? A chi hai scelto di dire tutto?

“È complesso e semplice al tempo stesso e si potrebbe semplificare dicendo che è un manifesto della volontà di raccontarsi, quindi è proprio una sorta di claim di quest’approccio che ho nei confronti della scrittura (sia in musica che in narrativa). Si tratta di un approccio del tutto non mediato, non intellettuale. Diventa intellettuale nella costruzione del progetto ma è viscerale dal punto di vista artistico, infatti diciamo che quest’approccio mi porta a non concepire l’idea di costruire il suono di un disco, per esempio, in maniera calcolata in termini musicali per entrare in un determinato ambito, per raggiungere un determinato pubblico. Io auspico sempre che il pubblico si crei da sé nella misura in cui le persone possano riconoscersi in un universale che parte dal personale e quindi è proprio da questo processo che scaturisce l’idea del “tornare”. Tornare da quella che è l’idea di aver vissuto queste cose per poterle raccontare. Poi c’è il tema della morte che è presente in una maniera particolare all’interno di quello che io scrivo e quindi “Torno per dirvi tutto”, citando il canto d’amore di J. Alfred Prufrock e di  Thomas Stearns Eliot, fa riferimento a colui che torna , ossia Lazzaro che, infatti, torna dall’aldilà per raccontarci quello che ha visto (resuscita, sostanzialmente). Dopo questo viaggio in luoghi in cui noi non abbiamo accesso lui torna per raccontarci quello che ha visto, ma non vuole avere un piglio arrogante. Vuole dire, semplicemente “Ho visto delle cose che vi voglio raccontare”. Ci sono degli artisti che lavorano sull’universale cercando di dire delle cose universali in maniera molto evidente ed assumendo l’approccio di un’intenzione chiara e ci sono artisti che, invece, possono cogliere degli elementi universali raccontando la loro esperienza personale. Io faccio sicuramente parte di questa seconda categoria”.

Ti andrebbe di parlarmi, nello specifico, delle 8 canzoni che compongono l’album (a partire da “Viola” fino ad arrivare a “Torno per dirvi tutto”) ?

“Anche in questo caso è semplice e complesso nello stesso tempo. Semplice perché i brani seguono il divenire del libro e, di conseguenza, ogni brano è ispirato al corrispondente capitolo del romanzo. Le canzoni toccano, sostanzialmente, quello che è il cuore di quel capitolo. Il cuore può essere riferito a un personaggio che compare in un capitolo, come nel caso di “Viola”, il personaggio femminile che apre il romanzo ed è l’interlocutrice del protagonista nel primo capitolo. È una presenza molto forte, io credo, sulla quale è nata l’urgenza di scrivere anche una canzone.

Da lì si passa, invece, a delle tematiche che non riguardano direttamente un personaggio del libro ma che riguardano un aspetto toccato dalla narrazione, come nel caso de “Gli Invisibili che è un singolo realizzato con il featuring di Cristiano Godano (leader dei Marlene Kuntz) dove io ho la volontà di parlare di chi vive ai margini, sui bordi, sia facendo un lavoro come il nostro che è un lavoro a suo modo invisibile (proprio come diceva Fossati parlando de “Il mestiere dell’artista”) sia e soprattutto dei veri invisibili della terra che sono donne, uomini e bambini che non hanno voce e quindi il tentativo di questa canzone è quello di dare, per l’appunto, voce a chi voce non ha.

Si passa poi a “Un disegno con molta acqua dentro” che è un brano profondamente, e forse anche in modo un po’ intricato, connesso alle pagine (in maniera proprio letteraria) del terzo capitolo. Questa complessità non si evince necessariamente nella scrittura della canzone. A mio avviso si tratta di un brano pop e il suo ascolto non prevede la conoscenza di tutto quello che accade nelle pagine del libro però lì si capisce molto bene qual è l’intenzione di questo progetto. Puoi ascoltare solo il disco, puoi leggere solo il libro, ma se scopri entrambi i fronti ti si aprono delle finestre molto più ampie.

In “Stanotte a Vienna”, nel quarto brano, c’è una città che respira. Vi è un grande riferimento alla “geografia emozionale”, una corrente di pensiero contemporanea che vede nei luoghi o nei cosiddetti “non luoghi” degli spazi dove la vita da un lato si ferma e da un lato può essere osservata in questo continuo passaggio. In “Stanotte a Vienna” è proprio Vienna la protagonista del racconto, è la città che respira e che nel suo respiro porta delle considerazioni in chi la osserva.

Poi c’è “Due comparse perfide”, un brano che racconta un dialogo tra sé e sé del protagonista il quale cerca di mandare una sorta di lettera, un dialogo, una specie di conversazione con sé stesso vent’anni prima. Una sorta di fratello minore al quale si cerca di dare dei consigli su quello che verrà […].

Ne “Il silenzio delle parole” c’è una dimensione estremamente notturna, intimista e riflessiva. C’è una presenza fantasmagorica. Una delle caratteristiche tipiche del mio scrivere è proprio la presenza di queste figure tipicamente femminili che sono e non sono. Leggendo il libro si capisce perché questa figura è così fantasmagorica.

In “Notturno di una mente malinconica” si parla di un incidente automobilistico in una chiave di lettura molto lirica, nel senso che non c’è la crudeltà dell’incidente, la violenza di un momento di quel tipo ma viene messo in evidenza un aspetto completamente diverso che è un aspetto quasi romantico.

Si giunge, poi, a “Torno per dirvi tutto” che è uno spoken nel quale io tento di tirare le fila di tutto questo viaggio, come in una sorta di “ritorno a casa”. Mi viene in mente- anche se da un punto di vista musicale non c’entra assolutamente nulla- “A Sort Of Homecoming”, un brano degli U2 nel quale loro parlano di questa sensazione, di ciò che realmente si prova a “tornare a casa”.

Che cosa significa per te “essere invisibili”?

“Secondo me tutti noi, al giorno d’oggi, ci sentiamo invisibili. A volte “invisibilità” viene tradotta con “impotenza”. In realtà l’invisibilità è un concetto leggermente diverso. Essere invisibili significa cercare di arrivare con la propria voce da qualche parte e vedere che nulla di ciò che si dice o si fa serve a smuovere questa sorta di apparenza in cui tutto sembra possibile. Nell’era digitale, in particolare, di fatto è tutto più complicato: vi è, di fatti, un sovraccarico sensoriale che è un altro tema connesso, per me, a questa vicenda degli invisibili perché in tutto questo non riusciamo più a distinguere le voci che ci interesserebbe di più conoscere e questo è del tutto soggettivo però , nella soggettività che appartiene ad ognuno di noi, essere in una stanza iper-affollata che non ci permette di distinguere più nulla non ci aiuta a far arrivare il messaggio di nessuno, fondamentalmente. C’è una produzione eccessiva, basti pensare alla quantità di immagini che escono ogni giorno su tutti i dispositivi della terra, per non parlare dei dischi, dei libri che sono continuamente dati in pasto ad un grande sistema che dovrebbe assorbire tutto ma la verità è che ognuno di noi va in overload continuamente e che, di conseguenza, in questo modello di società l’ “invisibile” è ognuno di noi“.