12 Aprile 2015 - 20:05

Alessia, uccisa dal padre omofobo

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Padre omofobo uccide la figlia 33enne: quante altre Alessia dovranno perdere la vita perché qualcun altro le reputa “diverse”?

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Padre omofobo – San Giorgio delle Pertiche, Padova. Alessia Gallo, 33 anni, è stata un’altra vittima di omofobia, che purtroppo ad oggi è all’ordine del giorno.

Il fatto agghiacciante è che l’assassino di Alessia non è stato un gruppo di ragazzetti che ha esagerato il sabato sera o un ex pazzo di gelosia, la persona che ha deciso che Alessia era “diversa” ed inaccettabile è stata suo padre, omofobo. Tiziano Gallo, 63 anni (vedovo), che dopo aver sparato in testa a sua figlia mentre dormiva si è tolto la vita.

«Non accettava che Alessia fosse lesbica!», è la testimonianza di Mirko Zoccarato, amico della vittima (gay dichiarato dal 2009): «La gente deve sapere chi era: mi ha insultato e minacciato solamente perché sono un omosessuale. Mi ha incrociato al bar Centrale di San Giorgio delle Pertiche e mi ha detto: “Vai via frocio di merda. spero che un’auto ti tiri sotto”. In un’altra occasione mi ha scansato malamente per aprirsi il passaggio».

La storia che racconta Mirko è una storia tremenda, di paura e odio nei confronti di ciò che è diverso.

Padre omofobo – Dietro le quinte di questo dramma familiare, c’è l’odio di un uomo che non riusciva a concepire l’amore omosessuale, il sentimento malato di un vedovo che sognava di ricostruire la propria famiglia attraverso la figlia, avere un genero, magari dei nipotini. «Ma Alessia era diversa» racconta Mirko. «È stata lei ad avvicinarmi in un bar del paese. Evidentemente conosceva la mia storia, perché lì a San Giorgio tutti sanno quanto ho dovuto lottare per dichiarare apertamente i miei sentimenti. Ricordo ancora come si è liberata di tutto ciò che aveva dentro. Mi ha detto che aveva un rapporto “speciale” con un’amica. Ho colto la sua sofferenza, ho percepito tutto il disagio che stava vivendo. In quell’occasione mi ha parlato del rapporto difficile con il padre».

Un padre, quello di Alessia,  che dalla morte della madre, avvenuta 13 anni prima, lei non hai mai abbandonato. Perché nonostante avesse un lavoro stabile e la possibilità di vivere da sola con la compagna che il padre ripudiava, Alessia ha scelto di rimanere a casa con lui, anche se la trattava e la faceva sentire diversa. Nonostante l’odio per la sua stessa progene, Alessia era rimasta lì.

«Aveva tentato di portare a casa questa amica ma lui, il papà, non la voleva neanche vedere. Non la voleva in casa. Non accettava il modo di essere della figlia e lei soffriva. Io le ho dato l’unico consiglio che si può dare in una situazione simile: le ho detto che se ne sarebbe dovuta andare di casa. Un lavoro sicuro ce l’aveva. Poteva benissimo andare ad abitare altrove. Se non l’ha mai fatto, evidentemente, era perché voleva stare vicino al padre. Dopo la morte della madre, lui era tutta la sua famiglia», queste le parole di Mirko Zoccato, che ha provato sulla sua pelle lo stesso dolore che sentiva Alessia.

«A San Giorgio delle Pertiche c’è un clima pesante nei confronti degli omosessuali. Io ho scelto di andarmene per questo motivo. Ora vivo a Montichiari, ma quando torno a casa a trovare i miei genitori percepisco ancora gli sguardi di disprezzo. Alcuni compaesani mi offendono persino quando sono a passeggio con mia madre», continua Mirko.

Padre omofobo – Adesso  tutti stanno cercando di dare un senso alla tragedia, con parenti e compaesani che si interrogano, i carabinieri che indagano; sono proprio gli amici a conoscere il malessere che covava tra quelle mura domestiche.

Sono le persone con cui si confidava dopo il lavoro a interpretare il significato per lei della parola “amore”. Un amore che il suo stesso sangue non accettava né concepiva.

padre omofobo

Il padre omofobo di Alessia

Personalmente, non mi stancherò mai di portare avanti la campagna antibullismo. Resto del parere che l’omofobia sia ignoranza popolare, che altro non fa che logorare chi la riceve, e terminare sempre in tragedie.

Quante altre Alessia dovranno perdere la vita perché qualcun altro le reputa “diverse”? Quanti altri morti lo Stato avrà ancora sulla coscienza?

Ci sono fin troppi ragazzi morti perché reputati “diversi”, troppe vittime di bullismo, troppi suicidi, omicidi e vite interrotte, spezzate dalla “diversità” che qualcun altro ha additato come pericolosa, e la cosa che mi rattrista, in vero, è la poca visibilità mediatica che questa notizia ha avuto.

Quando i miei colleghi non danno spazio a questo tipo di notizie, mi rattrista. Quando la figlia di Ramazzotti che insulta il figlio di Belen fa più scalpore di una ragazza morta ammazzata per mano del padre, mi fa paura. Mi fa paura per il messaggio che noi, i media, mandiamo. Mi fa paura per la disinformazione e il disinteresse. Mi fa paura perché e archiviato nella cartella “caso come un altro”.

È necessario aprire gli occhi e capire che non è una realtà così distante da noi definiti “normali” potrebbe succedere ad un fratello, una sorella, un cugino o un amico e trovarci al loro funerale perché qualcuno l’ha considerato “diverso”. È necessario andare avanti, perché si sta regredendo al lontano medioevo dove i “diversi” venivano additati come streghe e stregoni e messi al rogo dalla massa ignorante.

Dovremmo smettere di etichettare persone, cose e situazioni.

Dovremmo far capire a chi di dovere che un problema c’è, ed è consistente.

Dovremmo far qualcosa per non passare da diverso ad invisibile.

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