18 Febbraio 2015 - 12:42

American Sniper di Clint Eastwood

American Sniper, Clint Eastwood racconta l’assurdità della guerra dal punto di vista di chi la guerra la credeva giusta

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Clint Eastwood ritorna al cinema con il suo ultimo film da produttore e regista, American Sniper, la storia vera di Chris Kyle, il cecchino più letale degli Stati Uniti, ricordato come “ Leggenda” per aver ucciso 160 uomini in quattro turni, durante la guerra in Iraq.

Kyle si arruolò nel 1999 e dopo l’attentato alle Twin Towers partì nel 2003 per l’Iraq ed è lì che ha inizio il conflitto di un uomo diviso fra il dovere, l’amor patrio e la famiglia.

Chris è un uomo, come disse suo padre, nato per proteggere gli altri e questo suo bisogno di protezione e l’abilità di cecchino lo portano dal Texas in uno dei luoghi più terrificanti del mondo nel periodo storico fra i più bui.

Il regista ci porta l’esempio di un uomo che da essere umano diventa una vera e propria macchina da guerra che ben presto perde il contatto con la realtà e non riesce facilmente a creare un legame saldo con la famiglia che non vede mai.

american sniper

American Sniper

Dal punto di vista di Kyle la guerra in Iraq è giusta perché il compito dei soldati è quello di proteggere i civili americani dagli attacchi del terrorismo, ma Eastwood non ci fornisce solo questa versione e, di tanto in tanto, vediamo vacillare il sistema dalle fondamenta e ce ne accorgiamo dalle battute di alcuni comprimari del nostro protagonista che, in momenti di massima riflessione, si domandano quanto valga la pena fare tutto quello che fanno e ammazzarsi a vicenda, perdendo di vista il senso di tutto.

Il personaggio di Cooper, che si è impegnato molto in questo ruolo e si vede anche dalla trasformazione fisica subita, è il tipico soldato sotto stress che rischia di sbroccare al minimo colpo e che neppure a casa riesce a dimenticare i bombardamenti.

Per raccontare la storia di questo soldato il regista non lascia niente al caso e spiega tutto, cause e conseguenze della vita di un comune texano da rodeo divenuto cecchino per l’esercito. Vediamo così tutti gli episodi del suo passato che lo hanno portato a voler servire lo stato. Le scene sono tipiche americanate, cene di famiglia, padre e figlio a caccia, il primo colpo al fucile di Chris ragazzino e la tirata di suo padre sulle tre categorie in cui si dividono gli uomini: Lupi, Pecore e Cani da pastore e, come ci hanno insegnato tanti registi prima di Eastwood, anche quest’americanata ha il suo momento catartico nella sentenza che il padre di Chris dà alla fine della scena: “Chris tu sei un cane da pastore, proteggi i deboli. Quel ragazzino è stato violento con tuo fratello? L’hai fatto smettere?”. Alle risposte affermative del ragazzino scatta la chiosa perfetta per un’americanata che si rispetti: “Bravo figliolo”.

E così noi possiamo spiegarci quelli che sono i motivi personali di Kyle su perché sia “giusto” combattere, ma Clint Eastwood non ci dà alcuna risposta sui veri motivi della guerra, tanto che a un certo punto sembra di essere in un videogioco in cui tutto avviene meccanicamente e, come in un videogioco, vediamo l’assurdità della guerra dall’alto, dai tetti da cui lo stesso cecchino spara al nemico. Ci sono i buoni, i cattivi, si deve sparare e uccidere, sparare e uccidere e poi c’è una missione da portare a termine e si spera che l’omino che si manovra non muoia sul campo di battaglia. Ma quell’omino lì è un uomo vero e la storia che il burattinaio/ regista ci sta raccontando è vera e quando si prende coscienza di ciò emerge tutta l’angoscia e la verità di una folle guerra che sembra infinita.

Viene da chiedersi tuttavia, nonostante il film sia ben confezionato e scritto, perché mai con una produzione di milioni di dollari, Eastwood non sia riuscito a procurarsi dei neonati veri per le scene in cui Chris e la moglie cullano i propri figli. Il fatto che si veda chiaramente che sono dei fantocci toglie tutta l’autenticità alla storia, ma forse Clint Eastwood ha voluto adottare un sistema documentaristico, cogliendo alcuni momenti in cui tutto dovesse sembrare un po’ falso, permettendoci così di ottenere la giusta distanza critica e provare a darci delle risposte sulla guerra.

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