Andy Warhol, il fautore della Video Art
Andy Warhol, nome d’arte di Andrew Warhola Jr. (Pittsburgh, 6 agosto 1928 – New York, 22 febbraio 1987), pittore e grafico di origine ucraina, si impose sulla scena internazionale come fautore della Pop Art. Ma dal 1963 al 1970 sospese l’attività pittorica per dedicarsi alla settima arte. ZonMovie ripercorre le sue gesta cinematografiche nell’ottantottesimo anniversario della sua nascita #AccadeOggi
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L’interesse di Andy Warhol per il cinema nasce a partire dal 1963, dopo aver frequentato la Cinémathèque di Jonas Mekas e il circuito del New American Cinema. Il suo primo film, datato 1963, è Sleep, in cui riprende l’amico John Giorno mentre dorme per cinque ore.
La fase iniziale della produzione di Warhol, del 1963-1964, è caratterizzata da film senza sonoro e girati in 16mm, che mostrano uno stile minimalistico. Sleep, Kiss, Eat, Blow Job, Empire ruotano intorno a basiche azioni fisiche, azioni ripetute e dilatate nel tempo, riprese con una camera fissa, quindi con un unico punto di vista.
La tecnica elementare, antiestetica quanto concettuale, sfrutta un piano-sequenza impostato sulla fissità e sull’atemporalità, in cui Andy Warhol decide di limitarsi a filmare un’azione che avviene senza direzioni registiche e che quindi eclissa la figura del soggetto-autore.
La sua camera fissando i soggetti dell’azione, mettendo sullo stesso piano la scena e il fuori scena, demistifica l’aura del personaggio (spesso usava transessuali e attori sui generis per interpretare le star del momento, come James Dean) e mortificava la macchina hollywoodiana, accentuandone il carattere di grottesca decadenza.
Nella produzione cinematografica di Andy Warhol, un posto di rilievo spetta agli Screen Test, film in cui venivano ritratti i frequentatori della Factory con camera fissa per tre minuti su un sfondo nero. Warhol chiedeva ad ogni partecipante del provino di fissare la camera, di non muoversi, di non sbattere le ciglia.
“Trovo il montaggio troppo stancante […] lascio che la camera funzioni fino a che la pellicola finisce, così posso guardare le persone per come sono veramente”.
Queste prime operazioni cinematografiche, dall’imprinting avanguardistico, ricercavano la rappresentazione pittorica su video. Così il cinema di Andy Warhol imitava la sua pittura, in cui l’uso serigrafico delle immagini oscurava l’autore come creatore. Si pensi alla lunga ripresa dell’Empire State Building in Empire (1964), una sorta di natura morta su video, in cui per otto ore l’obiettivo rimaneva fisso sul grattacielo, con la possibilità fortuita di registrare casuali avvenimenti. O come in Couch (1964), in cui porta la sua ricerca all’estremo, ponendo l’obiettivo, nella sua fissità, a catturare gli incontri casuali in assenza del regista: il risultato è di un video in cui si consumano conversazioni e rapporti sessuali.
Tuttavia, la costante che Andy Warhol apportava al suo cinema era il ritratto di una generazione culturalmente attiva e dell’imperante cultura gay newyorkese del tempo: film come Lonesome Cowboys, Blow Job (in cui la telecamera è fissa per 35 minuti sul volto di un uomo che riceve una fellatio) subirono una dura censura, ma riuscirono ad essere distribuiti con il passaparola. Divennero un fenomeno underground, come tutta la sua filmografia, che solo decenni dopo venne riabilitata nelle retrospettive a lui dedicate.
Nel 1964 Andy Warhol girò Harlot, il suo primo film sonoro. Nel 1965 girò Vinyl, la prima versione cinematografica di Arancia meccanica di Burgess. Poi nel 1966, nella nota collaborazione con The Velvet Underground, compie i suoi primi esperimenti mixed media, registrando un loro concerto avvalendosi dell’uso di diapositive e luci stroboscopiche. In The Chelsea girls (1966) e Four stars (1967), Warhol affianca o sovrappone sullo schermo le immagini di due film distinti. In Imitation of Christ l’artista paragona esteticamente l’emarginazione di un drogato con la figura dell’eremita.
Il 1968 segna il ritorno alla pittura, parallelamente all’esperienza diproduttore di film di culto, tra cui Trash ‒ I rifiuti di New York (1970) di Morrissey, che parla allo spettatore di sesso e di frustrazioni fisiche e psicologiche mentre viene girato sul corpo degli attori.
Il film-ritratto a lui dedicato, Andy makes a movie (1968), di Robert Emmet Smith, ne ritrae l’aspetto cinematografico nella sua variegata e grandiosa carriera. Al settore Andy Warhol si dedica come autore di happening cinematici, riprendono le reazioni di attori improvvisati e creando una poetica iperrealistica basata su esperimenti di cinema-verità, sfumando i confini tra cinema e vita.
Andy Warhol è stato un’artista che ha inteso il vero potere del cinema, facendo un uso sperimentale ed anticonvenzionale della settima arte, esasperandone l’identità artistica priva di una narrazione. Per questo il “cinema” warholiano potrebbe essere considerato come un antesignano della Video Art. E dando per vero questo assunto, Warhol farebbe pensare al padre putativo di Bill Viola.
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