30 Gennaio 2017 - 15:52

Australian Open, Fedal quando una finale può diventare storia

Australian Open, Fedal quando una finale può diventare storia

Ci sono date, momenti sportivi che non possono essere dimenticati. L’atto finale, quello dell’Australian Open, dove la storia viene scritta

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Che la storia è scritta solo dai vincitori è ancora tutto da decidere. Che ricorderemo solo le vittorie e rinnegheremo le sconfitte è altrettanto falso e la storia del tennis ci insegna tanto su questo verso. Lo ha dimostrato e lo dimostra ancora oggi, punto dopo punto, set dopo set. Ci sono poi tennisti che attraverso le loro più ardue imprese e le più cocenti sconfitte sono stati resi immortali, hanno segnato una pagina indelebile di questo sport.

La finale di Melbourne è stata considerata un sogno bramato da tanti, da tutti gli appassionati del meraviglioso sport quale è  il tennis. Un sogno messo in un cassetto, al riparo da tutte le polemiche e gli anni bui e al vuoto che l’ATP ha avuto. Gli anni dominati da Djokovic hanno espletato una voragine intorno a lui con il solo Murray in grado di valicare il muro serbo.

Dall’infortunio al trionfo dell’Australian Open

Credere già due anni fa, che un Roger Federer trentaseienne dopo la rottura di un menisco e 6 mesi di stop potesse ritornare protagonista e vincere uno slam contro un Rafael Nadal altrettanto martoriato da numerosi infortuni e scivolato al nono posto della classifica mondiale, non ci avremmo creduto. Sarebbe stata semplice e pura utopia. Ma i campioni, quelli veri, le leggende senza se e senza ma non mollano. Non crollano alla prima sconfitta, sotto i colpi del Djokovic, Murray, Dimitrov o Raonic di turno. Resistono e continuano a combattere anche se hai vinto tutto quello che si potesse vincere, anche se hai vinto più di tutti, anche se sei già nella storia e mai nessuno potrà cancellarti da essa.

La finale è quella del genere agrodolce e gusti ogni sapore, ogni giocata sopraffina, dal rovescio poetico dello svizzero allo strapotere fisico del maiorchino con le sue diagonali impossibili anche da fondo campo. È un testa a testa. Non ci poteva aspettare altro: c’è il rispetto guadagnato sul campo, c’è un’amicizia, di quelle che hanno segnato le pagine più belle di questo sport e nessuno di noi potrà mai dimenticare l’abbraccio quasi fraterno dello spagnolo dopo le lacrime di Federer dopo la sconfitta nel 2009, sempre lì, sempre durante l’Australian Open. C’è l’ansia spasmodica, quella di tutti i tifosi. C’è la tensione delle grandi occasioni e pensi di quanto tu sia fortunato nel vedere quella che è stata definita la finale più importante degli ultimi 10 anni.

La storia insegna

Sono corsi e ricorsi storici: per lo svizzero sembrano ricomparire vecchi fantasmi, perché lo conosce, perché Rafa ha nella sua resistenza fisica e psicologica la sua arma in più. È un combattente che non è stato mai abituato a mollare e a gettare la spugna ed il match contro il bulgaro nella semifinale n’è un chiaro esempio. Per lo spagnolo invece la paura di vanificare tutto il percorso che non è partito il 21 gennaio contro Zverev, ma mesi prima, lungo tutto il periodo di recupero. La cornice è quella perfetta, l’occasione è unica. E cosa significa per ogni tifoso, per ogni altro avversario che si è fermato davanti a questi campioni: che non si può mai dare per scontato nulla, non si può dire a Roger Federer e Rafa Nadal che sono finiti, perché è e sarà sempre il campo a parlare. Perché nella storia non si entra con le parole, come troppo spesso accade negli ultimi anni. Lo si fa con i risultati e la passione, con la dedizione e  i sentimenti, le lacrime, con la rabbia, con tutto ciò che fortifica un tennista.

Ecco perché questa finale merita di essere ricordata. Ecco perché è storica. Ecco perché uno svizzero e uno spagnolo avranno per sempre un posto speciale nel nostro cuore. In quello di ogni appassionato, per chi ha avuto i brividi lungo la schiena, per chi ama davvero questo sport.

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