Black Presence: gli Uffizi e la cultura nera nel Rinascimento
Black Presence: gli Uffizi raccontano il valore dell’identità e della figura nera in Europa tramite i protagonisti dei capolavori rinascimentali
Gli Uffizi di Firenze hanno dato inizio al progetto “Black Presence” in collaborazione con l’edizione fiorentina del Black History Month, festival dedicato alla cultura nera che si tiene ogni anno a Firenze.
La data d’inizio dell’evento è ricaduta, simbolicamente, sul 4 Luglio, giorno dell’indipendenza americana, con una doppia conferenza prima su Tik Tok e poi su Facebook. Protagonisti della serata sono stati il direttore del BHM Justin Randoph Thompson e il polistrumentista Faso Gabin Dabirè che si è esibito in un concerto suonando i tradizionali strumenti musicali africani.Sabato 11 si è ormai giunti al suo secondo appuntamento e così si proseguirà di sabato in sabato, con una dettagliata analisi e riflessione dei quadri esposti nella rassegna.
L’idea che sta alla base del progetto di questa edizione riguarda l’approfondimento e la divulgazione della cultura nera e della presenza africana nelle opere di epoca pre-risorgimentale e post-risorgimentale. Settimana dopo settimana, si analizzeranno le opere presenti nel noto museo, in cui un ruolo centrale spetta a personaggi black ispirati a racconti biblici, storici e letterari e mitologici.
Tramite l’utilizzo della comunicazione digitale nasce Ipervisione: On being Present. Una galleria virtuale di opere d’arte presenti nella Galleria delle Statue e delle Pitture agli Uffizi che in Galleria Palatina a Palazzo Pitti.
La storia della presenza africana in Italia è legata al doppio filo delle ambascerie diplomatiche e della schiavitù, ma che riserva anche tracce nell’aristocrazia e alta nobiltà. Tra il ‘400 e ‘600, il tema della schiavitù riguardava tutti e due i popoli del Mediterraneo, con i cristiani che venivano imprigionati nel Nord Africa e i musulmani in Europa. Ma questo è anche il periodo dell esotismo. Le opere presentate sono la testimonianza di un passato europeo fortemente affascinato da paesi come l’Africa, ma anche l’Asia e l’America che simboleggiavano mondi esotici e lontani, così distanti dall’Europa Rinascimentale.
Si parte da “Arabaldieri” di Vittore Carpaccio per arrivare al “Ritratto di quattro servitori della corte medicea” di Anton Domenico Gabbiani. Si prosegue con“Adorazione dei Magi” di Durer, in cui uno dei tre magi ha evidenti origini africane. E’ interessante notare che nel corso secoli, il racconto della nascita di Gesù narrato nel Vangelo secondo Giovanni, si è arricchito sempre di dettagli. Nonostante fosse nota l’origine orientale dei Magi, le opere non contemplavano la presenza di personaggi “black”. Bisognerà aspettare il Quattrocento per iniziare a vedere rappresentato uno dei Magi come un personaggio nero.
Altro dipinto che suscita discussione è “Perseo libera Andromeda” di Piero di Cosimo. Questo quadro vede la presenza di un musicista nero, cosa rarissima nella pittura rinascimentale e che dimostra l’interesse del pittore per terre e popoli lontani. A destare curiosità è però il mondo in cui Cosimo ritrae Andromeda come una donna dalle pelle scura. Una scelta veramente inconsueta per l’epoca, nonostante le origini etiopiche del personaggio.
Nel “Ritratto di quattro servitori alla corte medicea” di Anton Domenico Gabbani, uno dei personaggi ritratti è proprio un giovane dalla pelle scura. I protagonisti del dipinto dovevano essere ben noti al pubblico dell’epoca, ma ad oggi risulta difficile identificare l’identità del ragazzo. Questo perché era consuetudine dell’epoca affidare l’appellativo “Il Moro” a tutti gli africani residenti a Firenze. L’ipotesi fin’ora più accreditata, attribuisce l’identità dello sconosciuto a un certo Mehmet, “Turco e Etiope”. La sua provenienza pare essere la Mussa, l’attuale stato nigeriano di Borno, e all’epoca del dipinto doveva avere all’incirca quattordici anni. Il suo abbigliamento riflette la sua condizione come schiavo africano impiegato come valletto alla corte dei Medici. Solo successivamente gli venne imposto con il battesimo il nome di Giuseppe Maria Medici.
Curiosa è la storia del “Ritratto dell’imperatore Atana de Dinghel”, re dell’Abissinia dal 1508 fino al 1540, anno della sua morte. Con questo termine, di origine araba, si era soliti designare l’impero cristiano d’Etiopia, nel Corno d’Africa; dato che sotto l’impero axumita la regione si era convertita al cristianesimo. Sembra che il re etiope fosse famoso in tutta Europa con il nome di “Prete Gianni”, signore leggendario di un fantomatico regno cristiano in Oriente.
A concludere la rassegna vi sono: il trio di popolani immortalato da Justus Suttermans nella “Madonna ‘Domenica delle Cascine’, la Cecca di Pratolino e Pietro Moro e il ritratto di Alchitrof, sempre di Cristofano dell’Altissimo. Quest’ultimo quadro apparteneva alla serie degli “Uomini illustri” realizzata per volontà di Cosimo I de’Medici, intorno al XVI secolo. Il soggetto del quadro sarebbe un altro re d’Etiopia, Alchitrof per l’appunto. Nel dipinto si può notare che l’artista ha ritratto il sovrano con abiti estremamente stravaganti, quasi a rimarcare l’esotica provenienza agli occhi degli spettatori europei. Questo dimostra anche di come nella pittura cinquecentesca, piuttosto che fare affidamento sui tratti somatici, si utilizzavano vestiti e gioielli come strumenti per catalogare la cultura dei diversi popoli.
Tuttavia, non si deve fare troppo affidamento sull’autenticità di quanto ritratto. molto spesso, specie nella pittura, venivano riutilizzati pregiudizi e luoghi comuni. Infatti, i vestiti di Alchitrof ricorda molto di più il materiale iconografico del Sudamerica, che non quello dell’Africa. Questo perché una certo grado di ignoranza spinse gli europei a confondere usi e costumi di africani e americani.
Un’iniziativa, quella degli Uffizi, che si inserisce perfettamente nel bisogno di approfondire la storia e la cultura nera, da secoli discriminata e avvolta in un’alone di mistero, e che ora chiede a gran voce di essere accettata e conosciuta.
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