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BlacKkKlansman: l’America oggi, inquadrata da Spike Lee

Con la sua nuova opera BlacKkKlansman, Spike Lee usa la storia per inquadrare meglio l’America attuale. Un’America a cui non risparmia commenti taglienti

Si può ufficialmente incoronare Ottobre come il mese del cinema d’autore, dei grandi nomi, del ritorno su piazza di due grandi colossi come Terry Gilliam e Spike Lee. Del primo e del suo nuovo L’Uomo Che Uccise Don Chisciotte abbiamo già parlato, ora tocca a BlacKkKlansman.

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Con la sua nuova opera, il noto regista vuole offrire un ampio range di visioni ai suoi spettatori, si prepone di far conoscere la situazione attuale dell’America. E fin qui, nulla da dire, è il solito Spike Lee, intriso di temi come le relazioni interraziali, la critica alla struttura sociale del Paese e via dicendo. Ma ad un certo punto, l’inquadratura cambia.

Non assume più il semplice ruolo di denuncia. Appare, anzi, molto di più come un grido d’aiuto, un appello a tutto il mondo per dire “Ehi, guardate che la situazione è ancora così, qui, non è mica finita, anzi, peggiora.
Per farlo, lo stesso Lee ricorre ad una “doppia storia”, che coinvolge il mitico John David Washington (già alle dipendenze di Lee da bambino, in Malcolm X), vero punto di forza del film, ed Adam Driver (sì, sempre lui, l’ormai onnipresente), che dopo L’Uomo Che Uccise Don Chisciotte offre un’altra prova maiuscola, che sa tanto di definitiva consacrazione.

Il regista porta in atto una commedia realistica, ironica e satirica allo stesso tempo, dal retrogusto amaro, soprattutto per lo sviluppo della storia. Ma andiamo con ordine e parliamo nei dettagli di BlacKkKlansman.

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Una “f****ta” storia vera

Non è un caso il titolo che abbiamo scelto per questo paragrafo. La didascalia iniziale, nei titoli di testa, di BlacKkKlansman recita, infatti, proprio così. Il film è, al contempo, la storia di un’infiltrazione e di uno sdoppiamento.

Un poliziotto di colore, tale Ron Stallworth (interpretato da John David Washington, con turbante di capelli afro exploitation anni ’70, stile Jimi Hendrix) chiede ai suoi capi di poter provare a infiltrarsi nel Klan. L’intenzione è quella di sorvegliare, tenere sotto controllo e magari stanare il gruppo filorazzista. Come? Tramite discussioni telefoniche. Stallworth è infatti bravissimo ad imitare la parlata “bianca”.

Ma come gestire i momenti d’incontro del KKK? Semplice, con una controfigura, che troverà nel suo collega ebreo Flip Zimmerman (un sontuoso Adam Driver). Inizia così una storia di smascheramento e di fusione, un’ingegnosa strategia d’attacco nei confronti del peggior nemico degli afroamericani.

La storia, però, non è tutta farina nel sacco di Lee. Il regista, infatti, si è limitato a raccontare un vero fatto accaduto nell’America degli anni ’70, e narrato nel libro Black Klansman, scritto proprio dal poliziotto Ron Stallworth. E quale miglior regista per narrare questa storia, se non il cineasta di colore?

Le citazioni volute e la critica ironica all’America attuale

Il maestro Spike ha saputo sfruttare benissimo questa storia per il suo intento. Nonostante i fatti siano effettivamente accaduti quarant’anni fa, BlacKkKlansman è lo specchio dell’America attuale. Ma il regista non si limita a criticarla. No. Il buon Spike si scaglia con tutta la forza della sua ironia contro questa America e le fa lo striptease. Ne mette a nudo l’ignoranza, i pregiudizi, la rozzezza, la violenza. Che non è solo contro i neri. È contro le donne, contro gli ebrei, contro i poveri.

Impossibile, a questo punto, non pensare a Donald Trump. Il “tycoon” non è mai stato amato dal regista, a maggior ragione dopo le sue prime dichiarazioni da presidente, e lo stesso usa l’unica arma che conosca per attaccarlo: il cinema. Con divertito cinismo, su una sceneggiatura che opera continui salti di registro e fa surfing fra il comico, il drammatico e il sarcastico, Spike Lee ritrova quindi la sua radicalità di un tempo.

Ne approfitta, però, per parlare all’America di oggi. E non solo. Parla a tutti noi. E critica la posizione razzista, così rozza, ignorante e dura. Instaura un dialogo con tutto il mondo, per mandare il classico messaggio “Siamo uguali a voi“, ma con contorno di schiaffi simbolici per la razza “pura”, quella bianca.

Il finale

Avvisiamo, ciò che stiamo per scrivere potrebbe essere fornito di spoiler, ma bisogna parlarne per forza, in quanto rappresenta un punto cruciale dell’opera. Menzione a parte, infatti, merita la fine di quest’incredibile pellicola.

Conclusione che mostra alcune sequenze di Nascita Di Una Nazione, primo film effettivamente narrativo mai girato, opera di David Wark Griffith. Un film che celebrava fin dai primi decenni del ‘900 la forza purificatrice del KuKluxKlan.

Inoltre, scorrendo più avanti con la pellicola, ci saranno varie scene vere, tratte dai moti di protesta antisemiti che effettivamente si svolsero negli anni ’70. Moti che definire violenti è davvero molto riduttivo. Richiamano la belva che giace all’interno dell’uomo, la cacciano fuori fino a farla diventare l’attore principale del nostro io.

Teatro di queste immagini strazianti è, soprattutto, il Virginia. Un finale potentissimo, che risuona nella pancia dello spettatore come un pugno doloroso nello stomaco e riesce ad amplificare tutta l’urgenza e l’attualità di quello che dice.

Spike Lee non è mai banale, rievoca immagini durissime per l’intero genere umano, e BlacKkKlansman non assume più solo il contorno di un semplice film d’intrattenimento. Mette a nudo tutti gli aspetti negativi di cui l’uomo, tutt’oggi, è ambasciatore (fiero, in alcuni casi).

E, più il linguaggio sbanda, taglia, spezza e spacca, più quello che dice brucia. Come sale su una ferita. Grazie, Spike. La tua missione umanitaria è compiuta. Per la gioia di tutti noi, per la gioia del cinema e degli spettatori, per la gioia degli uomini.

Antonio Jr. Orrico

Studente al terzo anno di Scienze della Comunicazione, con una passione innata per il giornalismo, per la scrittura, per la lettura e per la musica.

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