16 Settembre 2018 - 10:00

Bojack Horseman 5: quando siamo tutti fragili e meritiamo una seconda occasione

Bojack Horseman

La quinta stagione di Bojack Horseman colpisce tutti per profondità e drammaticità. È, a tutti gli effetti, la miglior stagione del drama cartoon di Netflix

Nella quinta stagione di Bojack Horseman c’è tutto quello che si possa desiderare da una serie che fa della cura dell’introspezione il suo fiore all’occhiello.

Prendere tutte le indiscusse qualità che questa serie ha fatto fuoriuscire nel corso delle stagioni scorse ed esaltarle al massimo in quest’ultima: c’è pienamente riuscito Raphael Bob-Waksberg, creatore della serie.

Bojack e il suo alter ego Philibert

La narrazione procede, rispetto alle precedenti stagioni, in maniera più orizzontale, con un ciclo narrativo che raramente si interrompe in maniera auto-conclusiva. Ogni episodio si collega al successivo e, ciò è possibile soprattutto alla nuova serie alla quale sta lavorando il cavallo più famoso di NetflixPhilbert. 

È questo “drama poliziesco” che dà all’intera stagione un taglio decisamente più oscuro e drammatico. Bojack si ritrova a vestire i panni di un impenetrabile detective ed è affiancato dalla collega Gina, con la quale l’attore ha una particolare relazione: distruttiva come tutte le precedenti. Da qui Bojack col passare delle riprese, inizia a farsi tante, troppe domande anche sulla sua vita personale. L’attore e il suo alter ego Philibert si confondono in un’unica persona, con i loro sensi di colpa, i loro fantasmi e, soprattutto, con i loro errori, troppo grandi per porvi rimedio.

Bojack non riuscirà – ovviamente – a mantenersi lucido, finendo per distruggersi man mano che la serie approfondisce la caratterizzazione del suo personaggio. Il già precario equilibrio viene sostanzialmente spazzato via, gettando la depressa stella di Horsin’ Around di nuovo nella fiumana di alcool e nel vortice della droga.

Bojack Horseman nella Hollywoo(d) del 2018

La scelta di mettere sullo schermo (in tutti i sensi) Philibert ha fruttato da un doppio punto di vista. In primis nel dare nuova linfa vitale alla storyline del protagonista, mostrandoci numerose questioni irrisolte. Secundis, – e non meno importante – come allegare all’intera storia la scottante attualità. Sì, perché Bojack Horseman è un’amara critica alla società moderna ma, soprattutto, a quell’industria cinematografica che dietro lustrini, carpet, Emmy e Academy, nasconde in realtà la più aspra rappresentazione dell’inconsistenza umana, dove non c’è compassione, empatia, umanità.

In maniera piuttosto diretta il movimento #MeToo viene criticato in maniera intelligente e pungente. A partire dal fatto che vengono mostrati i due lati della situazione con i relativi eccessi, tratto distintivo del cartoon. C’è la voce delle attive femministe che inizia a diventare asfissiante e che non ascoltano una sola considerazione che potrebbe essere diversa o più stemperata della loro. Sull’altro fronte (se così può esser definito) c’è la violenza nuda e cruda con la becera conclusione che dopo aver sbagliato può esserci solo la via della redenzione. Vero, ma in parte. C’è perdono solo se c’è accettazione di ciò che si è fatto. Ecco che Gina rifiuta che la violenza usata su di lei diventi di dominio pubblico perché ne vale della sua carriera. Ecco che Vance Wagoner dopo l’ennesimo addio alle scene ritorna e compie gli stessi identici errori.

Quante ipocrisia c’è? Quanto campanilismo? Ciò che realmente è messo in luce è la tendenza delle star (ma di tutti coloro che vivono l’ambiente di Hollywoo – e non solo) a perdonare gli uomini che compiono gesti imbarazzati e violenti, così da farli ritornare nel gota del cinema e alla vita pubblica. Ecco ciò che viene sbattuto in faccia a chi guarda Bojack Horseman, costringendoci a prendere una posizione, pensando a Kevin Specey, al caso Weinstein o ad Asia Argento. Con il suo inconfondibile stile, Bojack Horseman distrugge e a smonta tutti i paradossi che il movimento femminista porta con sé, così come viene sottolineato il fatto che non c’è giustizia.

I see you

La 5×06 è un capolavoro della TV e del genere cartoon. Un monologo di circa venti minuti che ci tiene perennemente incollati alle labbra di Bojack.

Conosciamo i tratti di Bojack e più in generale di questo “drama cartoon“. Eppure in questo episodio c’è qualcosa di diverso. Non c’è strumentalizzazione, non c’è esaltazione di questo o quel sentimento, non c’è alcuna esagerazione. C’è semplicemente un’epifania. Il cuore di Bojack viene aperto come il più temibile vaso di Pandora e, all’interno, c’è di tutto. Il dolore che viene buttato fuori è una fiumana di ricordi ed emozioni che per troppo tempo sono state tenute imbrigliate. È il passato il tema portante di questa quinta stagione e, soprattutto, il modo con il quale viene raccontata. Bojack ci ha abituati alle sue bugie (a fin di bene o l’esatto opposto) ma conosciamo il preciso istante in cui scoppia, quando la sua verità viene fuori.

Ed è questo il capolavoro: Bojack, il nostro Bojack, non ci fa sentire diversi. Non è lui il diverso. L’empatia non è unilaterale, perché lo comprendiamo e non lo compatiamo. Perché nessuno è dannatamente perfetto. Perché tutti abbiamo compiuto i nostri errori, anche drammatici, ai quali stiamo ancora pensando e che ci fanno passare le notti insonne. Bojack prima di essere un cavallo, un attore, un alcolizzato, un narcisista, un egoista è e rimane un essere umano tanto quanto noi. Bojack Horseman non è nient’altro che il nostro specchio.

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