19 Maggio 2021 - 10:03

Chiamatemi Anna: la serie tv femminista di cui avevamo bisogno

Anna Shirley è una delle eroine più famose della letteratura mondiale. Adesso, la ragazzina dai capelli rossi rivive in una nuova produzione Netflix, che dimostra qual è il vero significato della parola femminismo

Tra i diversi meriti di “Chiamatemi Anna”, la serie tv ideata e scritta da Moira Walley-Beckett, vi è quello di aver fatto riscoprire alle nuove generazioni il personaggio di Anna Shirley Cuthbert, creata dalla penna di Lucy Maud Montgomery.

La storia è nota a tutti: Marilla e Matthew Cuthbert sono due fratelli che vivono nella tranquilla fattoria di Green Gables, ad Avonlea. Un giorno decidono di adottare un ragazzo che possa aiutarli con il lavoro nei campi, ma al suo posto arriva invece una ragazzina dalle trecce rosse e lo sguardo lentigginoso. Dopo un rifiuto iniziale, i due decidono di tenerla e Anna riuscirà finalmente a costruirsi una famiglia e a farsi amare da tutti all’interno della nuova comunità.

Il romanzo è ormai un Classico della letteratura, oltre ad essere un’istituzione nel suo Paese d’origine, il Canada. Nel corso degli ultimi due secoli, Anna dai Capelli Rossi è diventato un vero e proprio fenomeno editoriale che ha resistito alla prova del tempo, e che ha visto attraversare alcune delle più grandi rivoluzioni sociali, culturali e tecnologiche del Secolo Breve.

Un’eroina immortale

Anna Shirley è sicuramente una delle eroine più importanti e famose della letteratura mondiale, che è riuscita a guadagnarsi un proprio posto nell’Olimpo delle “protagoniste immortali”, lo stesso in cui risiedono le sorelle March, Jane Eyre, Madame Bovary, Anna Karenina, Elizabeth Bennet o Cathy Earnshaw.

Sin da subito, Anna viene descritta come una ragazzina dalla parlantina instancabile e dotata di una vivida immaginazione, il cui passato è stato segnato da continui soprusi e abbandoni. È una sopravvissuta vivace, creativa, piena di inventiva ed energia, che sa essere anche testarda e ostinata. Intelligente ma irascibile, distratta ma estremamente generosa, il fascino di Anna sta proprio nell’essere un personaggio reale e pieno di contraddizioni.

Una outsider rifiutata da tutti ma decisa a tracciare e scegliere il proprio destino, invece di adeguarsi alle condizioni sociali che le donne dell’epoca erano obbligate a seguire. Anna è colei che il burbero Mark Twain ha definito come “la bambina più cara e adorabile della narrativa dai tempi dell’immortale Alice”.

Anna aspira ad essere un’eroina tragica, come le protagoniste delle sue fantasie e dei racconti che si diletta a scrivere; motivo per cui la realtà che la circonda viene spesso sublimata dalla sua fervida immaginazione. Ma soprattutto è un’anima romantica assetata di bellezza in tutte le sue forme, anche a costo di scendere nella vanità: che sia un ruscello, un fiore, una poesia o un vestito elegante. Anna vuole essere bella e circondarsi di cose “che le facciano venire i brividi lungo la schiena”- per riprendere una sua citazione – proprio perché non le ha mai avute ed è sempre stata costretta ad immaginarle.

Chiamatemi Anna

Quando nel 2017 iniziava la produzione di Anne with an E, il vero dilemma creativo consisteva nell’adattare il percorso di vita di un’adolescente che ha travalicato intere generazioni, ai gusti e ai ritmi della televisione moderna. La questione era: come creare un personaggio che risultasse appetibile a un pubblico nuovo ed esigente, adesso che gli standard della televisione sono cresciuti a dismisura?

In un’intervista per il New York Times, la Walley-Beckett ci teneva a sottolineare che la sua Anna fosse un’antieroina. Come la giornalista Willa Paskin ha spiegato nel suo articolo (“The other side of Anne of Green Gables“), con tale affermazione la sceneggiatrice intende rivendicare l’importanza di Anna all’interno del panorama televisivo contemporaneo, che vede gli antieroi come creazioni narrative affascinanti, mentre un’adolescente dalla grande forza d’animo che è stata adorata per oltre un secolo, potrebbe essere liquidata come roba per bambini.

L’intento è stato raggiunto. L’atmosfera tra reale e sogno che nell’immaginario collettivo ha sempre contraddistinto l’Isola del Principe Edoardo, rivive sullo schermo. I personaggi sono proprio come li abbiamo conosciuti e amati. La Anna Shirley di Amybeth McNulty, a volte curiosa ed estasiata a volte triste e scontrosa e non immune a scoppi di rabbia improvvisi, segue appieno la descrizione fatta dalla Montgomery. 

Abbiamo Matthew Cuthbert, interpretato da R.H. Thomson, spaurito e perso, che inizialmente vede nella sorella il suo unico punto di riferimento, ma che sarà in grado di imporsi e alzare la voce quando l’affetto per Anna prenderà il sopravvento. Assolutamente perfetta è la Marilla di Geraldine James, il cui carattere intransigente e austero verrà smussato dall’allegria di Anna. L’amore per la nuova arrivata crescerà giorno dopo giorno, fino a far nascere in lei un istinto materno che non sapeva nemmeno di avere. E non manca nemmeno l’amica del cuore di Anna, Diana Barry; la pettegola e ficcanaso Rachel Lynde; il rivale di studi e futuro interesse romantico della giovane Cuthbert, Gilbert Blythe; la maestra dai metodi anticonformisti, Miss Stacy; e la cattiva ragazza della storia, Josie Pye

In uno dei primi capitoli del libro, Anna racconta che i suoi genitori sono morti quando lei aveva tre mesi. Per questo motivo, è  costretta sin dalla tenera età a lavorare presso una vicina di casa, la signora Thomas, fino alla scomparsa del marito ubriacone. Dopodiché viene spedita presso la famiglia Hammond, composta da moglie, marito e i loro otto figli, affidati tutti alle cure della bambina. Quando non si rivelerà più utile, Anna sarà mandata in orfanotrofio per poi giungere dai Cuthbert a Green Gables dopo l’adozione.

Nella sua nuova trasportazione televisiva, Moira Walley-Beckett sentiva l’esigenza di andare oltre e raccontare il non detto (e il non mostrato dai precedenti adattamenti televisivi): il passato di Anna. Per l’autrice di alcuni degli episodi più iconici di Breaking Bad, era importante leggere tra le righe e approfondire tutti i dettagli che L. M. Montgomery aveva solo accennato o raccontato superficialmente. Del resto, vi sono già diverse opere artistiche e letterarie che hanno denunciato la condizione degli orfani a cavallo tra il XIX e l’inizio del XX secolo, basti pensare all’ Oliver Twist di Charles Dickens o alla Jane Eyre di Charlotte Bronte

Quella di Chiamatemi Anna è una Anna più tormentata e malinconica, vittima di un passato segnato da tristezza, duro lavoro, abusi e violenze sia fisiche che mentali. Un tazza da tè, una parola di troppo o il pianto di un bambino sono sufficienti alla giovane protagonista per rivivere, tramite flashback improvvisi, ricordi traumatici; tant’è che sin dalla prima puntata appare subito chiaro che Anna soffre di un disturbo post traumatico da stress. La sua immaginazione non è più solo un dono con cui riesce ad andare oltre il banale del quotidiano, ma diventa l’unica via di fuga da una una realtà triste e desolante.

Sin da piccola Anna è stata sola, motivo per cui ha dovuto immaginare delle amiche che la aiutassero ad affrontare i momenti di difficoltà e solitudine. Durante il periodo che trascorre dalla signora Thomas, Anna immagina che all’interno di una delle ante di una vecchia libreria rotta vi sia nascosta una bambina a cui dà il nome di Katie Murice, che sarà per lei di enorme conforto col passare degli anni. Nel corso della storia, Anna sembra costantemente vivere in bilico tra mondo reale e mondo fantastico perché questa è l’unica arma di difesa che conosce per proteggersi da un mondo che è stato sempre ostile nei suoi confronti.

Quando Netflix ha distribuito Chiamatemi Anna, la serie aveva il compito di rispondere al pregiudizio che si presenta ogni volta che un Classico trova nuova vita sul piccolo e grande schermo: C’era davvero bisogno di un nuovo adattamento?.

A fine visione di tutte e tre le stagioni, ci sentiamo dire di si. Non solo perché la serie non si allontana e nemmeno tradisce le atmosfere e le situazioni del romanzo della Montgomery, ma anche – e soprattutto – perché le vicende originali assumono nuove sfumature e significati.

Anna dai Capelli Rossi è un racconto femminista?

Si è molto discusso se quella di Anna dai Capelli Rossi potesse essere considerata una storia di stampo femminista. All’inizio della narrazione, Anna viene presentata come una protagonista femminile atipica per un romanzo scritto agli inizi del XX secolo, proprio per il suo essere  testarda, sognatrice e dalla lingua lunga e biforcuta; dotata di un temperamento focoso e irascibile che non sempre riesce a domare. 

Anna Shirley all’inizio è una outsider dai capelli rossi che però vuole disperatamente trovare un luogo di appartenenza. Il suo è un viaggio di maturazione che però la porterà dentro a binari più tradizionali, visto che alla fine della saga di L. M. Montgomery, Anna avrà temprato buona parte della sua personalità e abbandonerà la carriera di scrittrice e insegnante per dedicarsi alla sua nuova famiglia, dopo aver sposato Gilbert Blythe. Man mano che cresce Anna rientra sempre di più nei canoni della classica ragazza dei primi anni del ’900. Ma, allo stesso tempo, Anna non abbandonerà mai la sua natura ribelle e indipendente, dimostrazione data dal fatto che sposerà Gilbert non tanto per fare un matrimonio conveniente o per sfuggire a un destino di solitudine, ma solo quando capirà di essere innamorata profondamente di lui ed è certa che lui la consideri come una sua pari.

L’acuta intelligenza di Anna, la vivace fantasia, il profondo desiderio unito alla feroce ambizione di avere un’istruzione e diventare la migliore della classe, al fine di inseguire la carriera di insegnante e scrittrice; la sua insofferenza verso ogni forma di ingiustizia o restrizione che non comprende o non approva, hanno reso quella ragazzina dai capelli rossi una femminista ante-litteram anche senza volerlo. 

Per essere un’orfanella vissuta alla fine dell’800, prima ancora di arrivare ad Avonlea e ricevere un’istruzione completa e regolare, Anna dimostra una vastissima cultura. Sa leggere, recitare poesie a memoria e conosce anche Shakespeare. In diversi punti, infatti, vi sono vari riferimenti a Romeo e Giulietta. Durante il primo incontro con Marilla, Anna chiede di essere chiamata Cordelia. Questo passaggio è un rimando a un’altra grande tragedia del Bardo, Re Lear, dove una delle figlie del re [di nome Cordelia, per l’appunto] viene ripudiata dal padre, proprio come Anna si sente rifiutata da quella che credeva sarebbe stata la sua nuova famiglia. 

Per riprendere il pensiero di Italo Calvino, il grande Classico è un libro che contiene in sé abbastanza genio e inventiva da avere ancora qualcosa da dire al mondo moderno, nonostante siano trascorsi secoli dalla sua pubblicazione. È un messaggio che magari non appare subito chiaro o immediato, che ha bisogno di essere scovato e mostrato in modo chiaro ed evidente al suo nuovo pubblico. Chiamatemi Anna intende fare proprio questo.

Anne with an E non è (né tantomeno pretende di esserlo) propriamente l’Anna dei Capelli Rossi della Montgomery, ma è (con molta probabilità) l’Anna dai Capelli Rossi che la Montgomery avrebbe scritto se fosse vissuta oggi.

Nella serie, appena Marilla le dice che non può rimanere a Green Gables perché si aspettavano l’arrivo di un maschio, Anna subito si offende ed esclama a gran voce “Le ragazze possono fare esattamente quello che fanno i ragazzi, e anche di più”. Urla ai compagni della sua scuola che “la gonna non è un invito”, dopo che questi ultimi avevano palpeggiato le sue amiche; e fa una sfuriata contro il prete del villaggio quando egli dice che le donne “non dovrebbero avere un’opinione su niente”.

Josie Pye non è più solo l’odiosa ragazzina che si rifiuterà di voler accettare l’amicizia di Anna, ma anche lei una vittima di una società che insegna alle donne che l’unica ambizione che potevano avere era la prospettiva di fare un buon matrimonio che garantisse loro sicurezza e una posizione sociale. Una prospettiva condivisa anche dai genitori di Diana che non aspettano altro che mandare la figlia in una scuola in Francia, in modo da farla diventare una perfetta signora di buona famiglia; nonostante questa scelta vada contro i suoi desideri di proseguire gli studi. 

Miss Stacy, la nuova insegnante, verrà osteggiata dalla comunità locale per il suo modo di vivere anticonformista; Diana Barry tenta di ribellarsi ai suoi genitori e intraprende una relazione con l’aiutante di Matthew, Jerry. La vicina impicciona Rachel Lynde si indigna quando il comitato comunale composto da soli uomini etichetta le sue opinioni come “interruzioni isteriche”, mentre Marilla prende familiarità con la parola femminismo.

Quando, nella terza stagione, una ragazza viene molestata e la colpa viene fatta ricadere unicamente su di lei, lo sdegno di Anna esplode e pubblica un articolo sul giornale scolastico dal titolo “Che cosa è giusto”? in cui scrive “ Le donne nascono già completate da sole, non in relazione a un uomo. Le donne sono complete nel momento in cui vengono al mondo”.

Nuove narrazioni

In sole tre stagioni (lo spettacolo è stato ingiustamente cancellato dalla CBS, nonostante l’intenzione iniziale di creare in totale almeno cinque stagioni), Chiamatemi Anna ha toccato temi come l’abuso sui minori, bullismo, omofobia, discriminazione razziale e femminismo. La chiara intenzione della Walley- Beckett era quella di creare una serie che risuonasse attuale per gli spettatori del XXI secolo, o più precisamente per gli spettatori del nuovo millennio immersi nel clima sociale e politico in cui la lotta contro la discriminazione di genere, il razzismo e l’omofobia, è più attuale e combattuta che mai.

Proprio per questo motivo, si è scelto di creare dei nuovi personaggi. A partire dal compagno di classe di Anna, Cole Mackenzie, un giovane artista di talento che intraprende un percorso di crescita in cui realizzerà di essere omosessuale. Dotato di una sensibilità che lo differenzia dal resto di tutti i cittadini di Avonlea, Cole si sente diverso dagli altri suoi coetanei anche se non riesce a spiegarsi il motivo. Solo Anna riconosce in lui uno spirito affine e i due stringeranno sin da subito una solida amicizia. Anna sarà la prima persona a cui Cole confesserà di essere omosessuale; così come lui sarà presente durante il viaggio intrapreso della sua amica, in cui scoprirà le sue origini.

Per il suo essere diverso, Cole è vittima di episodi di bullismo che lo spingeranno a tentare il suicidio. Un tema delicato, considerando che a quei tempi l’omosessualità era un reato punibile per legge. Solo quando la zia di Diana, Mrs Berry, lo prenderà sotto la sua ala protettiva, sarà finalmente libero di essere se stesso. 

Altri due grandi personaggi, completamente inventati sono il marinaio di Trinidad, Bash Lacroix, che si trasferirà ad Avonlea dopo aver stretto amicizia con Gilbert e Ka’k Wet, un membro della comunità Mi’kmaq 

Sebastian Lacroix non è solo la prima persona nera a far parte della serie, ma è anche il primo personaggio nero che entra a far parte del mondo di Anna dai Capelli Rossi, dopo decenni di adattamenti. Grazie a Bash, veniamo a conoscenza della ricca storia nera presente all’interno del territorio dell’Isola del Principe Edoardo. A Charlottetown (capoluogo della P.E.I ) vi era presente una comunità nera di quasi 100 persone: Il Bog. Questa comunità era composta interamente da schiavi neri liberati e dalla loro prole, portati lì dai Royalist, i coloni che rimasero fedeli al regno di Gran Bretagna durante la guerra d’indipendenza americana. 

Nella terza stagione della serie, la storia di Anna si intreccia a quella di Ka’k Wet. Con lei viene introdotta l’esperienza delle Prime Nazioni: la sua storyline mette in luce le crudeli azioni attuate dal governo canadese nei confronti dei nativi americani provenienti dalle Provincie Marittime (New Brunswick, Nuova Scozia e l’Isola del Principe Edoardo). Infatti, Ka’k Wet verrà rinchiusa in un istituto che tenterà di eliminare la sua identità di ragazza indigena.

Anna e Gilbert

Sempre in Chiamatemi Anna viene approfondita una delle questioni più spinose inerenti al romanzo: la relazione tra Anna e Gilbert.

Quando la Montgomery ci introduce per la prima volta Gilbert, sappiamo subito che si tratta del ragazzo più intelligente e popolare della scuola. Sin dalla prima scena intuiamo che Gilbert è incuriosito da Anna, se non altro perché lei appare diversa da tutte le altre ragazze di Avonlea. Vanitoso e sicuro di sé, non sa come approcciarsi alla nuova arrivata e quando commetterà l’errore di prenderla in giro per il suo colore di capelli nella speranza di attirare l’attenzione, Anna non solo gli sbatte in faccia la lavagnetta per scrivere ma non gli rivolgerà più la parola per i prossimi cinque anni, nonostante tenterà varie volte di scusarsi. L’orgoglio di Anna impedirà loro di coltivare un legame d’amicizia e solo alla fine del primo libro riusciranno a chiarirsi. 

La presenza di Gilbert nel primo libro risulta puramente di contorno. Non veniamo a conoscenza della sua storia e di lui non sappiamo quasi nulla alla fine del romanzo. C’è anche da chiedersi quanto sia credibile il fatto che egli accolga Anna a braccia aperte dopo essere stato ignorato per tutto questo tempo (per ben cinque anni). Appare chiaro che la Montgomery utilizzi Gilbert solo come un mero espediente per concludere la storia di Anna.

Moira Walley-Beckett sapeva da subito che doveva cambiare direzione e riscrivere il personaggio di Gilbert Blythe

Nella serie è subito evidente la personalità gentile, sognante e fanciullesca di Gilbert (interpretato dall’attore Lucas Jade Zumman) unita a una natura provocante e sfacciata, che però non risulta per nulla maliziosa. L’attrito di scontro tra i due personaggi, proprio come nei libri, è istantaneo e inevitabile, ma un certo punto lo spettacolo cambia completamente rotta. La Beckett ha capito che serviva un pretesto per attirare in modo spontaneo l’interesse di Anna sul suo compagno di classe; motivo per cui nello spettacolo Gilbert rimane orfano dopo la morte del padre. In Anna, che nessuno meglio di lei può capire il dolore che sta provando, nasce un’empatia spontanea che le permette di rendersi più vulnerabile e abbassare le difese.

Anna e Gilbert continueranno ad essere rivali negli studi, e ci vorrà tempo prima che saranno in grado di confessare i loro veri sentimenti. Eppure, nel corso delle tre stagioni, si assiste alla nascita di una vera e naturale relazione d’amicizia, in cui i due si supportano e si aiutano a vicenda. Un’amicizia che, una volta giunto il periodo dell’adolescenza con i suoi primi dubbi e turbamenti, si trasformerà ben presto in amore.

Chiamatemi Anna non dimentica nemmeno di considerare Gilbert come un personaggio a sé stante. Viene infatti mostrato il suo passato; ci vengono rivelate le sue emozioni e le future ambizioni. Nella seconda stagione, decide infatti di lasciare temporaneamente Avonlea ed espandere i suoi orizzonti, andando a lavorare su una nave mercantile (la stessa dove incontra Sebastian) in cui capirà che in realtà la sua vera vocazione è la medicina. 

Considerazioni finali

Al debutto della prima stagione, le voci sono insorte scandalizzate. Diverse testate accusavano la serie di essere un tradimento nei confronti del lavoro della Montgomery. Rivolgere questa accusa è profondamente ingiusto. Non solo perché Chiamatemi Anna non è per nulla un tradimento dello spirito dell’opera originale, ma anche per il fatto che un film o una serie tv tratti da un romanzo, rimangono pur sempre un adattamento da parte di un regista che ha la propria personale visione della storia. 

Molti genitori si sono scandalizzati perché non era uno show che avrebbero fatto vedere ai loro bambini. “Non è la mia Anna!” – hanno recitato diversi commenti indignati dalla nuova trasportazione ritenuta troppo deprimente, oscura e traumatica

Eppure, basta guardare giusto con un occhio meno critico per rendersi conto che Chiamatemi Anna è un profondo inno alla vita, nella capacità di superare le difficoltà e andare oltre le apparenze e i pregiudizi, nel saper trovare la propria identità senza per questo rinunciare a quelle particolarità che contraddistinguono e rendono unica una persona. Una serie che ci ricorda che il mondo può essere crudele, ma che non bisogna mai smettere di lottare in ciò che crediamo giusto e che solo noi possiamo impugnare la penna per scrivere la nostra personale storia.