La dipendenza 2.0. Quando internet diventa una droga
La dipendenza 2.0. Quando internet diventa una droga e l’astinenza porta all’alienazione: il caso di un’adolescente cinese che si è vendicata dei genitori perché le avevano impedito di usare internet
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La dipendenza da sostanze è sempre una faccenda delicata da affrontare, sia per chi la subisce sia per chi ruota intorno alla persona assuefatta. Nel caso in cui l’individuo sia schiavo di una sostanza e non riesca a cambiare da solo il proprio stile di vita, esistono dei centri di riabilitazione che si prendono cura di queste persone e li conducono in un percorso che porta alla guarigione, dove la dipendenza diventa poi solo una storia da raccontare.
Non sono mai storie semplici, specialmente se si considera la sofferenza che devono subire i familiari e gli amici delle persone in difficoltà. Anche per loro non è un percorso facile, e il pericolo di recidere di netto il legame affettivo a causa di questo tipo di dipendenze è uno dei pericoli che bisogna prendere in considerazione. Ma quale genitore non sceglierebbe si affidare ad una struttura specializzata il proprio figlio, anche a costo di non vederlo per lungo tempo, pur di salvargli la vita?
Deve essere stato questo il ragionamento che avevano fatto i genitori di una ragazzina di 16 anni della provincia cinese dello Heilongjiang. La dipendenza della ragazzina non era la marijuana, ne la cocaina, ma qualcosa di meno tangibile e forse ancora più diffusa: internet. La giovane era assuefatta al web, e lo era a tal punto da aver smesso di studiare e aver rinunciato alla scuola per passare tutto il suo tempo davanti al computer.
Chen Xinran, lo pseudonimo con cui si faceva chiamare su internet, teneva un diario sui social network dall’inizio dell’anno, da quando era stata prelevata con la forza dalla sua casa e condotta all’ “Accademia per la Difesa della Scienza e Tecnologia” di Jinan, nello Shandong, oltre mille chilometri lontana da casa, una struttura riabilitativa che cura i ragazzi dipendenti dal web. Secondo quanto raccontava, l’accademia era un lagher, con trattamenti brutali e vessazioni continue che i “pazienti” erano costretti a subire. Stanca di questi soprusi, dopo 4 mesi di prigionia era fuggita e aveva fatto ritorno a casa. Ma la dipendenza da internet non era diminuita e nella testa della ragazzina c’era un solo obiettivo: vendicarsi di chi l’aveva allontanata dalla sua personale droga.
E’ stata lei stessa a raccontarlo alla polizia che l’ha arrestata. Chen Xinran ha immobilizzato la madre, legandola, e l’ha chiusa in una stanza dove le ha inferto numerose sevizie. Ma non l’ha uccisa, l’ha lasciata li a morire, di fame e di stenti, uno stato di prostrazione acuito ulteriormente dalle torture subite. Quando il brutale delitto è diventato di dominio pubblico, si sono fatti avanti altri pazienti della struttura, denunciando anche loro i metodi brutali con cui venivano trattati e alimentando un dibattito che in Cina si fa particolarmente acceso.
Da una parte le famiglie disperate che cercano di staccare i propri figli da internet, che si privano dell’istruzione e delle relazioni sociali nella loro totalità per sostituire la vita con il web, dall’altra i detrattori di queste strutture, che non riuscirebbero nel loro scopo ma peggiorerebbero una situazione di disagio già pregressa. Insomma, più che curati, i giovani vengono affidati a delle vere e proprie basi militari, dove subiscono angherie peggio di quelle a cui erano sottoposte le reclute del sergente istruttore Hartman.
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