10 Giugno 2018 - 19:29

Divorare il cielo: ha ragione solo chi vive (e chi racconta)

Divorare il cielo

“Divorare il cielo” è il nuovo romanzo di Paolo Giordano: conferma e scoperta insieme, racconta ai suoi lettori il sapore di una vita assoluta

Vi ricordate Peter Pan? I bimbi sperduti? Wendy che vola dalla finestra per seguire un ragazzino scapestrato, impulsivo, strano? Bene, prendeteli e metteteli tutti a Speziale, immersi in una natura ribelle nonostante la siccità. Prendete una notte d’estate e fate in modo che tre ragazzi scavalchino per un bagno in piscina. Alla finestra c’è una Wendy che si chiama Teresa che li osserva divertirsi, poi scappare e successivamente ripresentarsi alla porta di quella ragazza senza sapere di essere indissolubilmente legati a lei e che quel momento sarà l’inizio di una vita intera.

Teresa passerà tutto il tempo della sua esistenza ad inseguire Bern in una vita così naturale che sembra impossibile, roba da romanzo. E nel corso della lettura del primo capitolo intitolato “I grandi egoisti”, al lettore sembra quasi impossibile cadere davvero in una trama del genere, sentirsi in qualche modo legato a quei personaggi. Paolo Giordano però ce la fa, imprevedibile come solo una mente che formula certe storie sa essere: ha davvero ragione soltanto chi vive e nel realizzarlo ci si sente forse un po’ in colpa davanti all’immensità della voglia di sporcarsi i vestiti e le mani di terra di questi personaggi. 

Si ritrovano alcune costanti dei libri di Giordano che o si amano o si odiano: il personaggio femminile che sembra una principessa triste, per esempio, è una di queste. Teresa però non potrebbe essere più diversa dalla sua prima antenata, l’Alice de “La solitudine dei numeri primi”. Nella missione di divorare il cielo ci è trascinata dalle mani di Bern, dal suo egoismo che in qualche modo non fa antipatia come solo l’egoismo di chi insegue i propri passi e basta sa fare. Teresa corre dietro al suo leggero strabismo, alla sua intelligenza che sa far male (come nel caso di Cesare, il suo padre adottivo), alla sua voglia di conoscere arginata per paura che dilaghi e alla sua capacità di capire profondamente la psiche altrui per poterne esercitare il controllo. Per questa ragazza torinese, gli altri amici di Bern sono probabilmente solo un contorno accessorio a quella figura così importante e assoluta. Certo, non lo sono per noi. I loro sentimenti, i loro tormenti spesso causati proprio dalle scelte di questo ragazzo, potrebbero essere libri indipendenti eppure necessari. Paolo Giordano resta uno di quelli che sa cucire trame complicatissime e molte volte, probabilmente, non mette su carta neppure tutto quello che è in grado di pensare. Cinque anni che non ci consegnano un libro che fa pensare “Bello, però..”. Cinque anni che ci regalano un racconto che fa girare la testa per quanto è pieno, per quanto urla nonostante lo stile di scrittura sia sempre quello che abbiamo imparato a conoscere e ad amare: breve, carico di significato, con frasi costruite attentamente da parole che non potrebbero essere sostituite con alcun sinonimo. 

“Divorare il cielo” è un libro diverso da quelli che Giordano ci ha regalato dalla sua vittoria al Premio Strega, eppure è facile ritrovare uno dei più promettenti e brillanti scrittori dell’Italia odierna fra quelle pagine. Questo libro è fatto per chi vede solo i propri passi, per chi corre e non vede altro, per chi nel cielo vede un’involucro vuoto e non se ne dispiace, per chi sente la terra bruciare sotto le mani, per chi non sa dormire e anche per chi si è sentito chiamare da una persona che non sa accettare mezze misure, che non prova neppure a farlo. E’ anche per chi si sente una trama secondaria e vorrebbe assurgere a personaggio principale. Perché ha ragione solo chi vive davvero, solo chi si allunga per mordere le nuvole, anche se poi alla fine non ci trova niente. Ha ragione solo chi sceglie di inseguire l’utopia di una vita assoluta, pur non sentendosi in grado di viverne una per conto proprio. Soprattutto, ha ragione chi racconta, perché muore tutto a questo mondo, pure le parole, ma è tutto potenzialmente eterno se sulla Terra resta qualcuno che sente il racconto come la propria missione. Vivere per raccontare. Divorare il cielo per dire a tutti gli altri che sapore ha.

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