Doctor Who 11×02 ‘The Ghost Monument’ – La recensione di Zon.it
Il secondo episodio della nuova era di Doctor Who ci restituisce gli immancabili elementi con cui lo show si riconosce, attraverso una storia lineare ed efficace ad introdurre la trama su cui verterà la stagione
Duplice è l’intento di “The Ghost Monument”: il primo è senz’altro quello di fornire ai fans storici quelle caratteristiche identificative di cui era privo il primo, peculiare atto; il secondo, e non meno importante, è quello di introdurre nella maniera più giusta e chiara ai nuovi telespettatori ciò che mancava per addentrarli a pieno ed al meglio all’interno dell’universo Who.
Trama
Il Dottore e i suoi nuovi amici vengono salvati dallo spazio profondo da Angstrom ed Epzo, alieni che gareggiano in una competizione intergalattica che si svolge tra pianeti pericolosi e prove da superare.
Catturati nella loro competizione, si uniscono a loro in un viaggio attraverso un pianeta mortale per raggiungere il ‘Ghost Monument‘ – una scatola mistica che il Dottore riconosce rapidamente come il suo TARDIS perduto.
Scoprono presto che il pianeta è stato devastato da esperimenti scientifici letali, un terreno di prova per la Stenza – la razza guerriera che hanno precedentemente incontrato a Sheffield – per sviluppare nuove armi.
La squadra, alla fine, raggiunge il sito del Ghost Monument ed il Dottore si riunisce con il suo TARDIS, il quale sfoggia un nuovo, alieno look.
Percorsi diversi per uno stesso obiettivo
La 11×02 si apre, senza fronzoli e minuti introduttivi, con la nuova sigla dello show: rivoluzionaria e al tempo stesso in linea con i fasti del 1960, la nuovo psichedelica opening theme ci fa solo intravedere, attraverso la creazione del nuovo logo, la scia del TARDIS, grande assente dello scorso episodio.
Risulta evidente l’intento di creare la perfetta summa di vecchio e nuovo, con effetti speciali da urlo a partire dall’universo ricreato dai nuovi produttori.
Si risolve immediatamente il cliffhanger bellissimo dello scorso episodio: in scene iniziali che strizzano l’occhio al franchising di Star Wars, i piloti Amstrong ed Epzo salvano la vita al nuovo team pensando che questi ultimi facessero parte della pericolosa gara in cui stanno gareggiando, attraversando pianeti e perdendo avversari su avversarsi man mano che si va avanti.
Una gara all’ultimo sangue, quella rappresentata in questo episodio: espediente narrativo puramente in linea con il genere sci-fi ma mai utilizzato come trama in un episodio di Doctor Who.
Amstrong ed Epzo sono due personaggi che vivono questa pericolosa avventura con un approccio completamente differente: il primo non ha mai contato che su se stesso (importante la scena in cui descrive l’educazione ricevuta da sua madre), la seconda, al contrario, decide di rischiare la vita proprio per salvare i pochi membri della famiglia che le sono rimasti.
Questi due livelli opposti di individualismo rappresentano, in un certo qual senso, ciò che il Dottore è e vuole essere e, nel caso di Amstrong, esattamente ciò che il Signore del Tempo diverrebbe se non si imbattesse in nuovi umani desiderosi di conoscere l’universo ogni qual volta in cui si ritrova da solo.
“Insieme siamo più forti”
Esattamente con tale intromissione, il Dottore fresco di rigenerazione ribadisce il suo modo di percepire il lungo viaggio che è la vita, la quale va obbligatoriamente vissuta in comunione con le anime che ci vengono incontro, unico modo per poter tornare a sperare in un nuovo inizio dopo le tante perdite.
Tale affermazione condiziona inequivocabilmente anche le azioni di Graham e Ryan, ove la perdita della persona che più era loro cara può essere superata solo grazie al rafforzamento di un’unione che ha un grande potenziale ma che, da parte di Ryan, non presenta ancora le basi giuste per spiccare il volo.
Interessante e quasi commovente il rapporto che si sta creando, a questo proposito, tra Ryan e Thirteen: il Dottore sembra essersi preso carico del ruolo precedentemente rivestito da Grace, caratterizzato da rimproveri ed elogi, sproni e saggi insegnamenti.
Il percorso che Chibnall sta delineando per Ryan risulta, in soli due episodi, in assoluto tra i più peculiari, lontano da qualsiasi altra strada tracciata per i precedenti companions nella storia della serie.
Stessa cosa non possiamo dire per Yaz, personaggio ancora troppo di contorno e destinato, nei prossimi episodi, ad emergere nel modo più giusto possibile, come solo Chibnall sa fare. In fondo, gestire ben tre compagni di viaggio per il Dottore è stato per il nuovo showrunner un cambiamento non indifferente che richiederà decisamente sforzi maggiori.
L’inizio del nuovo mistero
“The Ghost Monument” è un episodio che fa del paesaggio il protagonista assoluto, con inquadrature che lasciano senza fiato ed effetti visivi che siamo abituati a vedere solo sul grande schermo, o meglio, che non spesso siamo stati abituati a vedere in un episodio di Doctor Who.
Eppure, ciò che più colpisce di questa seconda parte della storia, è proprio la continuità con il primo episodio: mai ci saremmo potuti aspettare che gli Stenza, nemici principali della scorsa settimana, avrebbero assunto un ruolo così rivelante anche in questo episodio, rendendo a tutti gli effetti questa razza la potenziale nemesi dell’intera undicesima stagione.
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La totale indipendenza di queste dieci nuove storie viene, di fatto, radicalmente smentita attraverso la lettura, da parte del Dottore, dell’ultimo messaggio lasciato dagli scienziati costretti dagli Stenza a creare macchinari sempre più letali per la conquista dell’universo.
Pochi gli elementi che ci vengono forniti in merito, almeno fino a quando uno dei letali veli senzienti creati artificialmente e in grado di leggere nei pensieri delle sue vittime, non nomina un certo “Timeless Child“, figura facente parte dell’esistenza del Dottore ma che, non si sa per quale ragione, anche il Dottore stesso non ricorda più.
Cosa o chi sarà mai questo bambino senza tempo? Certo, è impossibile non pensare alla figura dal Maestro, ma la massiccia presenza di quest’ultimo sia nelle stagioni di Davies che in quelle di Moffat ci fanno affermare con certezza che non possa essere lui.
Interessante il parallelismo tra questo bambino senza tempo e quello “non terrestre” che funge da titolo al primo episodio della serie, quando andava ancora a colori e ad accompagnare il Dottore vi era anche sua nipote.
Con questo episodio abbiamo capito che con Chibnall nulla è dato al caso: il discorso del Dottore sulla sua famiglia persa da tempi immemori e custodita nei suoi due cuori potrebbe, a questo punto, essere stato un ottimo indizio che vuole suggerirci quanto questa possa essere la stagione in cui scopriremo l’infanzia del Dottore.
Tutto inizia a prendere forma, e la trama generale di questa stagione sembra non avere nulla in meno rispetto ai celebri archi di Bad Wolf, la Pandorica, il Silenzio e la Ragazza Impossibile.
Il nuovo TARDIS
Questo episodio, oltre agli elementi precedentemente analizzati, ci reintroduce al TARDIS, mezzo senza il quale il Dottore non è altro che un Signore del Tempo a metà.
Il momento del ricongiungimento tra il Dottore e il suo amato “monumento fantasma” risulta uno dei più emozionanti della serie: mai come in questo episodio (fatta eccezione, ovviamente, per la 6×04 ed il conflittuale rapporto iniziale con Clara) il TARDIS presenta sentimenti e rientra, a tutti gli effetti, tra i personaggi della puntata.
Vedere la macchina del tempo impaurita e per questo celata ai pericolosi protagonisti di questa gara, in un ambiente ostile e assolutamente terrificante senza il Dottore, non può far altro che emozionare il fan legato alla serie e far conoscere nei migliori dei modi questo co-protagonista ai nuovi telespettatori.
L’amore con cui il TARDIS accoglie il suo padrone, la gioia provata da quest’ultimo nell’ammirare i nuovi interni di quella che può essere considerata la sua certezza in più di duemila anni di storia, rappresentano la conclusione migliore di questa 11×02 ed il perfetto inizio di questi viaggi che cambieranno per sempre i nuovi protagonisti della serie.
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