Donna perché festeggi l’8 marzo?
La festa della donna va festeggiata per il cambiamento avvenuto e per quello che deve ancora arrivare, per la birra, che la si può bere dalla bottiglia
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- Un minuto di silenzio per Alda Merini, Oriana Fallaci, Teresa Mattei, Rita Montagna, Elena Cattaneo, Diana Bracco.
- Un minuto di silenzio per l’8 marzo 1919 e 1946, per tutti i mesi di marzo del 1900 e per i sindacati e i mass media che hanno alimentato il finto mito di questa data.
La «Giornata Internazionale della Donna» o «Festa della Donna» si festeggia l’8 marzo per ricordare le conquiste economiche, politiche e sociali delle donne, ma anche le discriminazioni e le violenze che subiscono ancora in molte parti del mondo. Infatti l’8 marzo era il giorno in cui, più di altri, le donne erano state protagoniste di grandi eventi. Nel 1908 a New York decine di migliaia di operaie protestarono con una marcia per ottenere lavoro e paga più dignitosi, per il diritto di voto e l’abolizione del lavoro minorile. Lo slogan era «Bread and Roses»: pane per simboleggiare la sicurezza economica e rose a indicare una qualità di vita migliore. Il 28 febbraio del 1909 negli Stati Uniti si tenne la prima giornata della donna. A San Pietroburgo l’8 marzo 1917 le donne russe guidarono una grande manifestazione che chiedeva la fine della guerra, dando inizio alla rivoluzione che diede fino allo zarismo.
In Italia la Giornata Internazionale della Donna fu tenuta per la prima volta nel 1922, grazie al Partito Comunista, si celebrò la festa il 12 marzo, la prima domenica successiva all’8 marzo del 1917. Dobbiamo incolpare e ringraziare Rita Montagnana e Teresa Mattei, due attiviste dell’Udi (Unione donne italiane) che nel 1946 decisero di abbinare la festa della donna a un fiore: la mimosa, fu scelta perché fiorisce nel mese di marzo e non costa molto, per cui è accessibile a molti.
- Un minuto di silenzio per il tipo che staserà dirà con smorfia e soddisfazione di non festeggiare e di portare rispetto, perché tante femmine sono morte in questo giorno.
Sì. Anzi no. Tante femmine sono morte il 25 marzo del 1911 in un incendio alla Triangle Shirtwaist Company di New York. Una fabbrica che produceva camicette di moda. Nel rogo morirono 146 operai di cui 129 donne, quasi tutte camiciaie immigrate italiane ed ebree dell’Europa dell’Est. Persero la vita perché le povere donne erano rinchiuse a chiave nello stabilimento durante le ore di lavoro, per il timore di furti o di pause troppo lunghe. Sessantadue donne nel disperato tentativo di scampare alle fiamme si lanciarono dalle finestre dell’edificio, alto 10 piani. Alcune avevano 12 o 13 anni e facevano turni di 14 ore al giorno: la settimana lavorativa andava dalle 60 alle 72 ore con un salario dai 6 ai 7 dollari la settimana. Gli unici superstiti furono i proprietari della fabbrica, Max Blanck e Isaac Harris, che si misero in salvo senza preoccuparsi di liberare le donne. Seguì successivamente un processo, in cui i due carnefici industriali furono assolti e l’assicurazione pagò loro 445 dollari per ogni operaia morta, mentre il risarcimento alle famiglie fu di 75 dollari. In migliaia parteciparono ai funerali. In migliaia si ribellarono contro questo atto disumano.
- Un minuto di silenzio per la donna che non corre e non denuncia e non ferma le mani e la violenza del “suo” uomo sul “suo” corpo.
- Un minuto di silenzio per tutte le femministe e per il diritto all’aborto e al sesso libero.
Non si protesta più per i diritti sul lavoro, oggi si è sbiadita la connotazione sindacale, è tutto zoomato sul corpo-oggetto della donna. In ufficio è solo un corpo che quando ospita non può essere ospitato. Nel 1972 ci fu una manifestazione a Roma in cui partecipò anche l’attrice americana Jane Fonda. Fu quella la prima volta dello slogan «L’utero è mio e lo gestisco io», per il diritto della donna di «Amministrare l’intero processo di maternità». Difendevano la legge 194, che permette l’interruzione di gravidanza entro le prime 12 settimane, e combattevamo contro gli aborti clandestini che mietevano tante vittime.
- Un minuto di silenzio per la donna che festeggia stanotte con ebrezza molesta in discoteca gridando Maracaiboooo a squarciagola.
La festa della donna acquisisce sempre più un valore commerciale. Noi donne pensiamo sia giusto festeggiare in onore di tutte quelle femmine che sono morte in passato, regalandoci la libertà di bere birra direttamente dalla bottiglia. Noi festeggiamo. Ma in Italia dal 1979 si lotta, ancora, per il diritto al cognome materno. In Italia nell’ultimo anno il femminicidio è aumentato del 14%. In Italia si fa una legge, colorata di rosa, per avere la parità in parlamento. Noi, festeggiamo. In Italia c’è una mentalità patriarcale, papale, antica, che si nasconde bene dietro una parmigiana e una lasagna domenicale. In Italia abbiamo l’Uomo, che deve guadagnare più della sua donna.
- Un minuto di silenzio per lo stereotipo degli ormoni in subbuglio nel periodo mestruale che “colpisce” le donne.
Essere donna vuol dire piangere e ridere contemporaneamente, quando puoi e quando vuoi, anche alle 12:00 di una domenica mattina. Essere donna è ridere di se stessa, dopo una caduta o una fogliolina di prezzemolo fra i denti, perché è lì che si nasconde il segreto della consapevolezza. Essere donna significa rispondere alla domanda: Cosa hai? Con un: Niente! E quel niente è tutto quello che non si riesce a dire, ma che si vorrebbe cambiare. Essere donna in amore significa diventare: madre, bambina e pasticcera, lasciarla fare, farle pulire la ciotola di crema al cioccolato con le dita, perché i piatti odia lavarli. Essere donna significa portare con sé misteri, pace a metà, essere sempre alla ricerca dell’amore, dei baci che caricano d’ossigeno il cuore. Donna eroica ed erotica.
Essere donna significa esserci.
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