Doom Patrol: il lato folle e anti-convenzionale del DC Universe
Con Doom Patrol, Prime Video porta in scena il lato più grottesco e strambo del DC Universe. E dopo The Boys punta di nuovo su dei “losers”
Ormai sembra proprio che Prime Video ci stia prendendo gusto. Non più tardi di tre mesi fa, infatti, la nota streaming house portava in scena uno degli show più riusciti degli ultimi anni: The Boys, nati dalla penna di Garth Ennis. L’esperimento, andato a buon fine, ha lasciato uno strascico che si è riproposto poi a distanza di qualche mese e che ha permesso di portare in scena un’altra serie anti-convenzionale: Doom Patrol.
Con Doom Patrol, show creato come un vero e proprio spin-off di un’altra serie DC, Titans, Prime Video si pone nuovamente come obiettivo quello di ribaltare il topos supereroistico. Non ci sono più vincenti, non c’è più gente che usa il proprio potere per fare del bene alla gente. I protagonisti della serie non sono di certo Spider-Man, Thor e compagni. Ne condividono i poteri fuori dall’ordinario, certo, ma in realtà sono dei veri e propri “perdenti“, delle creature grottesche che vivono il proprio “dono” come fosse quasi una piaga. La responsabilità di affrontare il male mette a dura prova i nervi della squadra, in un confronto che sembra quasi “psicologico”.
Più che altro, lo show sembra recuperare dal monito dello Spider-Man di Sam Raimi, ovvero “da grandi poteri derivano grandi responsabilità“. La serie, almeno per quanto concerne la prima stagione, assomiglia più ad un romanzo di formazione che ad un vero e proprio show composto solo da calci e pugni. Un viaggio in cui ogni membro della squadra è alla ricerca di sé stesso, è in fuga da una storia difficile e può farlo solamente tramite questo “strano” legame con gli altri.
Pronti a calarci in questa realtà complessa? Partiamo.
Gli emarginati
Come detto poc’anzi, Doom Patrol è una storia unica nel suo genere. La storia inizia da Cliff Steele (Brendan Fraser), un pilota di auto da corsa che, a seguito di un brutto incidente, scoprirà che il suo cervello è stato trapiantato in un corpo robotico per evitarne la morte. In questo modo Cliff diventa Robotman. Ma non solo. Fa anche la conoscenza di Chief/Niles Caulder (un enigmatico Timothy Dalton), l’uomo che l’ha salvato e che, come il Professor Xavier di X-Men, dà ospitalità a coloro che il mondo ha ricacciato indietro.
Ed è proprio così che l’ex pilota legherà con i suoi nuovi compagni “freaks”. Con lui ci sono Elasti-Woman, alias Rita Farr (una straripante April Bowlby), ex stella del cinema e mutaforma che fatica a mantenere un aspetto solido. Inoltre, fa la conoscenza di Negative Man, ovvero Larry Trainor (Matthew Zuk e Matt Bomer), ex pilota d’aerei nascosto dietro metri di garze per celare la sua pelle ustionata e Crazy Jane/Kay Challis (un’ottima Diane Guerrero), schizofrenica con 64 personalità distinte, ognuna con un potere diverso. A loro si aggiunge anche Cyborg/Victor Stone (Joivan Wade), mezzo umano e mezzo-macchina, in lotta con la sua dualità.
Tutti loro saranno impegnati nella battaglia contro Mr. Nobody/Eric Morden (Alan Tudyk), malvagia ombra vivente in grado di svuotare la sanità mentale degli altri e con progetti tutt’altro che rassicuranti per il mondo intero. Insomma, uno show che promette scintille.
La fedeltà alla causa “morrisoniana”
Se c’è una cosa che due serie diversissime come The Boys e Doom Patrol hanno in comune è il loro essere “fuori dagli schemi“. La storia non racconta nulla di nuovo né di originale (la classica lotta “bene contro male”, a parti invertite), ma lo fa in un modo surreale, cinico e tagliente. Il tono della serie sembra essere debitore al ciclo avviato da Grant Morrison sul fumetto, ponendolo sempre tra il serio e lo scanzonato.
Essendo una storia anti-convenzionale, i modi in cui è raccontata sono del tutto originali. Si va dal mezzo metacinematografico della rottura della quarta parete (sulla falsa riga di Deadpool) ai dialoghi ambigui che donano alla serie un tono che oscilla tra il dark e l’umoristico. Anche questo concorre a causare allo spettatore una sorta di legame a doppio filo con i personaggi, consapevoli di essere dei perdenti, ma allo stesso tempo auto-ironici.
La struttura narrativa funziona, districandosi bene tra flashback utili per il background dei personaggi e vicende presenti. Doom Patrol vive anche di un cattivo davvero importante, quell’Eric Morden (uno spaziale Alan Tudyk) che non solo narra il racconto, ma interviene a commentare in tempo reale (in maniera satirica) le azioni degli “eroi”.
Il lato tecnico e il format
Ci sono, però, due ostacoli fondamentali sulla strada che Doom Patrol non riesce ad aggirare. Il primo riguarda il lato tecnico. Infatti, sebbene la regia, la fotografia e il sonoro restino comunque di ottima qualità (per quanto comunque non facciano gridare al capolavoro), la “bastonata”, la serie, la becca proprio su un aspetto fondamentale: gli effetti speciali.
In molti, anche troppi, punti si ha l’impressione di assistere ad un B-movie degli anni ’80, a partire dallo splatter enormemente “fumettoso” per finire ad alcuni scenari in cui si avverte palesemente il massiccio lavoro della CGI. Ed è una grave pecca per un prodotto “di punta” di una casa così prestigiosa come la DC.
Altro lato carente di Doom Patrol è il format proposto. L’elevato minutaggio dei singoli episodi, infatti, rendono davvero molto difficile il binge-watching. Questo perché negli stessi figurano repentini “ammorbidimenti” di ritmo che rendono statica la stessa serie e non fanno altro che annoiare lo spettatore.
Si spera che questi incidenti di percorso possano essere risolti nella seconda stagione.
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